Capitano di quelle serate in cui uno si sente forzatamente disinibito, che qualcuno forzatamente disinibisce, complice un po’ d’alcol e un po’ di ritardata adolescenza repressa. Così intorno a un tavolo la conversazione scivola sempre un po’ su argomenti volutamente imbarazzanti, c’è chi pensa a voler esorcizzare, chi ad assaporare una fetta di proibito. La domanda provocatoria era chiara: parla della tua prima volta. E va bene.
Era estate, l’estate di più di vent’anni fa. Avevo più o meno dodici anni, ed era un’estate calda, soleggiata. Il sole della Grecia. A quei tempi le vacanze avevano poco da distinguersi con quelle che i grandi fanno nei villaggi vacanze, che a quei tempi si corre dietro ai grandi come agli organizzatori e animatori dei peggiori villaggi. Così, tutti noi bimbi seguimmo i grandi in una gita organizzata. Una gita in battello che ci avrebbe concesso il lusso di visitare gli anfratti più nascosti e seducenti di Lefkada. Lei era su quel battello, e apparentemente condivideva con me un periodo della vita. Gli anni alle spalle, e la condizione di turista per forza. Lei era bellissima, dall’aspetto nordico, dalla parlata intraducibile, e la nostra conversazione si era svolta tutta con gli occhi. Solo quelli. Erano gli occhi a spingere piccoli passi, dalla prua alla poppa, in cerca di nuovi argomenti da sviscerare insieme con i soli occhi. Per un solo attimo ci sentimmo uniti in una conversazione vocale, quando si unì alle voci nostre in una cantilena stonacchiata per ammazzare il tempo, quasi di nascosto, quasi come se dovessi essere l’unico fruitore di quel momento, come di una dichiarazione: ti sto cercando. Tutta la giornata è andata avanti così. Fino alla fine, quando il barcone ci riportava a terra, e sembrava stanco e ansioso di liberarsi del peso sopportato una giornata intera. Tutti i bambini si ritrovavano a poppa per osservare le manovre di attracco. L’avevo sempre fatto, avevo sempre osservato l’attracco, ero ormai un esperto, non ero più curioso. Volevo più forse delle conferme alle mie conoscenze. Sporgevo i riccioli da un lato della barca, con lo sguardo rivolto all’indietro, lasciandomi un po’ distrarre dai piccoli vortici scaturiti dalle profondità dell’acqua, con le mani appoggiate sul parapetto di legno laterale. Lei arrivò. A quel punto avevamo la stessa identica curiosità, perfettamente celata. Poggiava le mani sul parapetto come me, alla mia sinistra. La sua mano destra era sempre più vicina alla mia sinistra, la mia sempre più alla sua. Finché i mignoli non si toccarono, finché non si sovrapposero incrociandosi. Nessuno osava guardare negli occhi l’altro. Restammo in quella posizione per l’eternità di un minuto. L’ultima volta che l’ho vista portava occhiali scuri ed era seduta sul sedile posteriore di un auto affollata.
Questa è stata la mia prima volta.
Ernesto Fontanella