Ci colonizzano portandoci via i simboli storici.
Un altro pezzo d’italia se ne va, sia pur piccolo come un cioccolatino.
Piccolo come un Gianduiotto o un Bacio Perugina.
Recentemente i Turchi si sono comprati la Pernigotti, storico marchio ligure produttore di cioccolatini.
Come se n’è andata la Novi ligure.
Alla faccia della celebre pubblicità basata sul dialogo fra un alpinista italiano che offre un pezzo di cioccolata a quello svizzero: “Cioccolato Svizzero?” “No è Novi, italiano!”.
Peccato che la Novi sia da tempo proprietà del gruppo Elah-Dufour.
Come la Nestlè che si comprò la Buitoni (spaghetti) e di conseguenza anche la Perugina e i suoi Baci.
Non ci resta che piangere e, per addolcire il gusto amaro di queste notizie, l’iitalianissima Nutella.
Fortuna che Ferrero non sembra essere in vendita.
Solo per restare nell’alimentare: Pernigotti segue da vicino l’acquisizione da parte di Lvmh (che ha anche acquisito Loro Piana) della pasticceria milanese Cova, mentre l’ultimo colpo nelle campagne toscane è stato messo a segno da un imprenditore cinese della farmaceutica di Hong Kong, che ha acquistato per la prima volta un’azienda vitivinicola agricola nel Chianti, l’azienda Casanova – La Ripintura, nel Chianti, nel cuore della Docg del Gallo Nero. Sempre 2013 si è assistito al passaggio di mano del 25% del riso Scotti ceduto dalla famiglia pavese agli spagnoli di Ebro Foods.
Il mio non è un avvertimento sciovinista ma il timore che ci sputtaniamo anche il “Made in Italy”.
Così come è già successo per la pizza, gli spaghetti il vino e molte alte cose, quando la moda, le scarpe, il cibo, il design, la cioccolata Italiani (e magari anche il marchio Vespa, visto che io sono nato a Pontedera) saranno gestiti dall’estero, l’Italian Style non sarà più Italiano, anzi cesserà di esistere.
Ma allora all’estero non venderanno più nemmeno quella miriade di piccole aziende di mobili, abbigliamento, o di eccellenze nel campo del cibo che oggi, oltre a realizzare un prodotto di qualità, sono assolutamente favorite dall’essere considerate espressione del Made in Italy solo per il fatto di essere Italiane e quindi preferite ad aziende che, sia pur realizzando ottimi prodotti, non possono fregiarsi della tradizione Italiana. Dopo non ci resterebbero che gli occhi per piangere. Cosa esporteremo, allora, il petrolio?
Qualcuno mi ha risposto: “Il 50% se non di piú della componentistica della Vespa proviene dal sud-est asiatico, di Made in Italy ormai ha ben poco….” Questo succede probabilmente anche per molte lavorazioni di Ferragamo, Gucci o Armani, tanto per fare qualche nome. Questo significa ben poco. Certo, meglio sarebbe se la produzione fosse tutta Italiana. Ma non è questo il problema, specialmente per un prodotto “simbolo” ma nato parecchi anni fa. Oramai la Vespa “è” made in Italy nel’immaginario collettivo e rappresenta un prodotto dell’inventiva Italiana. Poi magari la Honda e la Yamaha fanno scooter persino migliori, però la cara e vecchia Vespa rimane un MITO ed un ambasciatore della creatività italiana. In un certo senso ha una importanza relativa dove vengono prodotte oggi le componenti della Vespa. Sarebbe illusorio pensare che l’Italia possa produrre a costi competitivi le parti di un prodotto “maturo” come lo scooter della Piaggio. Non deve essere quello lo scopo che ci proponiamo come sistema Italia. Noi dobbiamo mantenere in Italia prima di tutto il centro pensante, l’ideazione e la progettazione delle cose che verranno prodotte magari all’estero, ma in modo da trattenere in Italia la ricchezza che deriverà dalla loro produzione e commercializzazione in tutto il mondo a prescindere da chi ne produce le varie componenti. Per fare l’esempio della Pernigotti comprata dai Turchi, o della Perugina con i “Baci”: gli stranieri si comprano l’azienda non perché sia difficile produrre un cioccolatino altrettanto buono, magari copiandolo. Il fatto è che nel mondo un cioccolatino buono come un “Bacio” Perugina e con l’aspetto di un Bacio Perugina non se lo comprerebbe nessuno se non avesse in sé l’immagine di essere un prodotto Italiano e si chiamasse con un nome cinese.
Ma quando dovesse accadere che Armani, Ferragamo, Gucci, la Vespa, la Ferrari venissero acquisite da qualche multinazionale (il rischio c’è perché il valore dei marchi è enorme) saremo veramente del gatto. Per ora siamo su quella strada, diamoci una regolata.
D’altra parte in Italia non si può più fare impresa.
E allora? Saluti e Baci. Vendi l’azienda e taci.
Alessandro Tantussi
Peccato che la Elah-Dufour sia italiana e ha comprato un’altra ditta italiana eh
Ok,ma la Elah Dufour è italiana !