La R-EVOLUTION BAND nasce nel 2010 da un’idea del polistrumentista e compositore Vittorio Sabelli. L’obiettivo della band è quello di distruggere forme pre-esistenti e rivoluzionarle con elementi contemporanei (da qui il nome R-E Revolution/Evolution Band).
Nel 2011 la band ha inciso il primo disco Versus per l’etichetta Wide Sound, costituito interamente da brani originali. Ha partecipato a diversi Festival e tenuto concerti in Club da Bari a Milano, e a novembre 2012 un live con intervista per Rai Radio3. Dopo vari avvicendamenti in line-up la band finalmente riesce a trovare la giusta quadratura per mettere in campo il suo potenziale.
Il nuovo progetto The Dark Side Of The Wall mette in risalto l’apertura a 360 gradi da parte dei musicisti, che riescono a spaziare tra vari generi, esaltando le sonorità e le forme più adatte ai vari contesti, pur tenendo ferma l’idea di base.
The Wall è una delle opere rock per eccellenza, probabilmente l’ultimo grande lascito a un certo modo di concepire e interpretare il rock, tipico dell’era classica. Per quale motivo “profanarlo”?
Tutto iniziò negli anni ’80 quando mio zio mi regalò il vinile di The Wall qualche anno dopo la sua uscita. Me ne innamorai subito in maniera maniacale, ma mai avrei immaginato che la mia esperienza personale e musicale mi avrebbe portato ad affrontarlo in maniera così intima e allo stesso tempo violenta. Comunque più che di profanazione parlerei di rivoluzione ed evoluzione, cosa che ci riconduce al nome della band. So che per i fan dei Pink Floyd, da sempre abituati alla perfezione chirurgica e a ’quelle’ sonorità senza dubbio impareggiabili, può risultare difficile se non impossibile digerire un progetto che si pone come obiettivo primario la distruzione e ricostruzione integrale di The Wall. Ma siamo in un’epoca di sperimentazione, e personalmente ero attratto da questa impresa da molto tempo.
Dopo due dischi originali (One Way…No Way del 2010 e Versus del 2011) ho deciso che era giunto il momento giusto per lavorare a ‘qualcosa’ d’importante da immortalare sotto nuove vesti; e la scelta è ricaduta inevitabilmente su The Wall. Mettersi a cospetto del ‘Muro’ originale non è stata cosa semplice, affrontarlo, lasciarsi avvolgere totalmente per poi destrutturarlo e infine ricostruirlo a modo mio e in qualche modo oltrepassarlo. Insomma, alla fine possiamo dire che questo progetto è stato il risultato di un’evoluzione naturale del mio percorso artistico che mi ha condotto all’inevitabile confronto/conflitto.
Nelle note di copertina parlate di un “nuovo concept” che accomuna i brani rivisitati: di che si tratta?
L’idea di un nuovo concept era necessaria, un’opera come The Wall che nasce da una grande idea portante, una sorta di leitmotiv, non poteva che essere ricostruita seguendo lo stesso principio; non avrebbe avuto alcun senso rimodellare ogni brano singolarmente. La certezza che ci ha guidato fin dall’inizio è stata quella di volerci distinguere nettamente dalle cover/tribute band, operando un lavoro profondo di revisione, manomissione e ri-arrangiamento dei singoli brani a seconda del loro ruolo all’interno della setlist. Ogni brano doveva essere in sintonia con quello precedente e allo stesso tempo visto in funzione di quello successivo, oltre ad avere un ruolo ben preciso all’interno di macro aree tematiche. Considerata la durata del disco originale ho evitato che i ventisei brani risultassero stilisticamente simili tra loro, ma allo stesso tempo non volevo che sembrassero ‘separati in casa’. Da qui l’idea di un sottilissimo filo conduttore da ricercare con un ascolto attento, che rappresenta un’intrigante sfida per i fan dei Pink Floyd e non solo.
The Dark Side Of The Wall spicca immediatamente per la profonda alterità rispetto alla versione originale: che tipo di orientamento avete seguito nel confrontarvi con i singoli pezzi?
Questo lavoro è frutto di un profondo studio dell’originale durato oltre sei mesi durante i quali ho cercato di assimilare il maggior numero possibile di elementi, non solo musicali. Molti li ho estrapolati dalle opere di Gerald Scarfe e dai primi demo di Roger Waters, oltre che dai vari live, altri da materiale che sembrerebbe avere poco a che fare con The Wall. Tutto questo per entrare fino in fondo nel mondo che stavo per distruggere brutalmente! So che può sembrare un paradosso ma non avrebbe avuto senso copiare o cercare affinità evidenti con i brani originali. Dopo questo lavoro destrutturante far rinascere i brani con caratteristiche completamente differenti pur preservandone alcuni elementi caratteristici è stata la vera e propria sfida! Revisioni stilistiche, tematiche, armoniche, ritmiche e formali sono state operate per ciascun brano, cercando di far emergere quegli elementi che nel disco originale risultano meno evidenti. Chi si aspetta di ‘comprendere’ tutti questi aspetti nella loro complessità fin dal primo ascolto rimarrà probabilmente deluso, ma chi vorrà dedicargli il giusto tempo arriverà a scoprire il ‘lato oscuro’ di The Wall.
È quanto meno bizzarro che la “mente” dei R-Evolution Vittorio Sabelli sia un fiatista di estrazione jazz amante del metal estremo… Queste due aree musicali quanto sono state influenti sulla rilettura floydiana?
Sono state senz’altro fondamentali. Ho cercato di far confluire tutte le mie esperienze in questo disco, e data la sua lunghezza sarebbe stato impensabile e anche un peccato agire diversamente. Ho lavorato per oltre dieci anni in Orchestra Sinfonica e da oltre dieci anni m’interesso di jazz e musica contemporanea, ma le componenti rock e metal estremo mi hanno portato a scoprire la chitarra e la batteria. Sarebbe stato impensabile comporre musica con il solo ausilio di clarinetto o sax, anche se la storia ci insegna che le grandi rivoluzioni musicali del ‘900 sono avvenute proprio per merito di ‘fiatisti’. Basti pensare a Charlie Parker, Miles Davis, John Coltrane, Ornette Coleman e non ultimo John Zorn.
Oltre al jazz e al metal altri riferimenti popolano il vostro album, dall’elettronica alla musica contemporanea: c’è un segreto per far convivere queste anime?
Mi diverto a far convivere i diversi generi con i quali mi sento a mio agio, sperimentando dei blend che possano risultare più o meno fruibili, ma che non sono mai prevedibili e scontati. Di segreti particolari non ce ne sono; ho semplicemente messo a punto un mio particolare modo di scrivere e ascoltare musica per capire quali sono generi che vanno più d’accordo, creando un piccolo laboratorio di esperimenti musicali. Non dimentichiamoci poi che il momento delle prove è cruciale perché è la fase in cui ognuno dei musicisti dà il proprio contributo in termini musicali, e viene alla luce la prima vera bozza di quello che sarà il progetto finale.
Quali sono le differenze sonore e stilistiche rispetto al vostro precedente album Versus?
Partirei ancor prima dal mio primo disco One Way…No Way del 2010, incentrato su sonorità classiche e jazzistiche, con aperture all’avanguardia e alla dodecafonia. Da One Way a Versus un primo cambio di formazione ha spinto il tiro verso la musica etnica e i tempi dispari. Mentre quello che differenzia maggiormente Versus da TDSOTW è il rapporto improvvisazione/musica scritta. Mentre Versus è incentrato maggiormente su un discorso d’improvvisazione collettiva, The Dark Side Of The Wall è l’esatto opposto, con molta musica scritta e sezioni d’improvvisazione che lasciano meno spazio ai singoli musicisti. D’altronde l’organizzazione in ventisei brani non poteva esser approcciata con lunghi assoli, altrimenti avremmo rischiato di fare un disco triplo. L’altra differenza è sotto il profilo timbrico, con un’accurata scelta della line-up e degli ospiti che hanno reso possibile differenziare i vari episodi.
Spesso opere del genere diventano ingombranti e le si valuta solo in un’ottica celebrativa: a più di trent’anni di distanza, secondo voi quali sono i pregi e i difetti di The Wall?
Sappiamo tutti della fredda accoglienza riservata inizialmente a The Wall, soprattutto se lo si pensa in relazione al trittico che lo ha preceduto The Dark Side Of The Moon, Wish You Were Here e Animals che lo ha preceduto. Chi adorava i Pink Floyd si è sentito spaesato e spiazzato dalle sonorità imposte dal lavoro di Waters, che virano per l’ennesima volta verso nuovi orizzonti, questa volta meno visionari e molto più realistici e personali. La perfezione in ogni singolo dettaglio di The Wall lascia meno spazio per perdersi nel cosmo, cercando invece di coinvolgere l’ascoltatore all’interno del proprio stato emotivo. Chissà in quanti avranno immaginato allora cosa quel disco avrebbe rappresentato in futuro, ovvero un punto di riferimento e un mattone fondamentale nella storia della musica. Per quanto riguarda i difetti, fino a qualche mese fa avrei detto nessuno, ma ora potrei dirti che il suo unico difetto è The Dark Side Of The Wall…
Se doveste cimentarvi con un’altra operazione di rilettura di un classico, a cosa pensereste?
A dire la verità sto già lavorando a del nuovo materiale per la R-Evolution Band, sia con brani originali che con nuovi esperimenti per ulteriori attacchi a un’altra band storica, ma per ora è top secret. Una testata americana a proposito di TDSOTW ci ha definito una anti-tribute band, forse non allontanandosi troppo dalla realtà. Vorrei solo chiarire che il nostro modo di approcciare la musica altrui va visto come un amore profondo che nasce da un rispetto infinito e da tanto studio sulle band che andiamo a ‘manomettere’. In futuro non escludo che Led Zeppelin, Metallica e Beatles entrino a far parte di questo universo parallelo, così come qualche cantautore e compositori quali Mozart e Brahms.
Line-up:
Vittorio Sabelli: clarinetto, voce, sax alto e baritono, arrangiamenti
Marcello Malatesta: keys, cpu programming
Gabriele Tardiolo ‘Svedonio’: chitarre, bouzuki, lap steel
Graziano Brufani: basso, contrabbasso
Oreste Sbarra: batteria
Info:
R-Evolution Band:
www.r-evolutionband.com