Ad un mese esatto dalla rappresentazione teatrale drammatica la cui organizzazione è stata curata dalla nostra associazione, vogliamo riparlare di Artaud e ricordare lo spettacolo. Non dimentichiamo mai un’ingiustizia o un’atrocità, ” Il ne reste que l’espoire…” !
Lo spettacolo è stato scritto e diretto da Vincenzo Cirillo fondatore della compagnia Ombradipeter, attualmente residente a Digione.
Artaud ha scelto di fare un salto nel buio, ha combattuto a discapito di se stesso, contro l’ambiente che lo circondava. Con la sua battaglia è rimasto nella storia del teatro; tra i primi del suo tempo ad aver ridefinito il concetto di rituale nel teatro e la coralità d’insieme.
Il salto nel buio del poeta, per Vincenzo Cirillo, è stato un’ispirazione da cui partire per costruire lo spettacolo La morte di Antonin Artaud. Il dramma è nato in Francia, a Dijon, ha debuttato a Cosenza e a Cagliari e solo due settimane fa, è stato rappresentato al Cinema-teatro Lumiere di Pisa dalla compagnia cosentina Ombradipiter.
La trama racconta gli ultimi attimi di vita del poeta, ridotto alla miseria e portato ad odiare la società del suo tempo, da cui ha voluto prendere le distanze; compresa la madre che non l’ha mai capito e l’ha fatto internare nel primo dei tanti manicomi che hanno segnato l’artista nella mente e nel fisico.
La morte di Antonin Artaud è una rappresentazione del concetto di rituale, dove la danza e la musica sono il perno su cui è costruito lo spettacolo. Tonalità grave e voce roca, ritmi lenti, e melodie malinconiche sono il leitmotiv della messa in scena; una riflessione sulla sofferenza e il disagio interiore dell’artista. Lo spettacolo gioca con il limite che separa la realtà dal sogno, e in quel confine il poeta trova lo spazio per urlare al mondo quanto odia gli uomini. Si diverte a giocare con la sua anima femminile, legata a lui con un filo rosso, e rappresentata come una strana figura danzante, succube della mente arrida dell’artista e costretta a seguire ogni suo comando: si esercita a recitare secondo le teorie di Artaud, e si scusa con il “maestro” (la mente del poeta) per non impegnarsi a sufficienza.
Lo spettacolo è uno studio sulla controversia del drammaturgo e sulla sua creatività inibita dall’ambiente esterno. La drammaturgia è ricca di spunti che sono ancora in fase di sperimentazione, ma già emerge la cura nell’uso dello spazio scenico e delle luci, modellate sui movimenti degli attori; i quali alternano la recitazione fatta di gesti ampi e decisi, e lo straniamento vocale alle composizioni di quadri scenici che si avvicinano al teatro d’immagine contemporaneo.
La messa in scena offre diversi piani di lettura allo spettatore: ad esempio il personaggio della madre dell’artista, interpretata da Chiara Brisa, rimane sullo sfondo drammaturgico per tutta la durata dello spettacolo, caratterizzata solo da pochi gesti e poche battute; forse un lontano ricordo di Artaud, che nel finale diventa reale per ucciderlo sulla scena, con l’accompagnamento di una melodia malinconica e lenta, di cui le note finali fungono da colonna sonora a gli ultimi respiri del drammaturgo francese.
di Valentina Solinas
foto di Rosy Guagliardo e Marco Vincenti