Joanna Newsom è la più grande novità musicale rock di quest’ultimo decennio. Con soli 3 LP e una
manciata di EP e singoli si è imposta prepotentemente all’interno del genere avant-folk
americano. I suoi punti di forza sono la voce, un’indefinibile mix di Tori Amos, Bjork e Kate Bush,
capricciosa, petulante e unica e lo strumento preferito, l’arpa. Cresciuta al confine fra Nevada e
California, Joanna Newsom ha imparato giovanissima a suonare l’arpa celtica passando poi a
suonare l’arpa a pedali e sviluppando uno stile particolarissimo che anche se non del tutto
distaccato da quello convenzionale, incorpora anche lo stile polimetrico dei suonatori di kora
dell’Africa Occidentale. Dopo alcune esperienze come tastierista in due gruppi di college, la
Newsom pubblica i suo primi EP autoprodotti Walnut Whales (2002; Peach Plum Pear, Erin, En
Gallop) e Yarn And Glue (2003; Sprout And Bean) che si collocano nell’alveo del rinascimento folk
del terzo millennio: sono lavori ancora timidi ma che già rivelano la sua abilità nel costruire
vignette ingenue e trasognate ma tecnicamente geniali. Nel suo 1° LP The Milk-Eyed Mender, la
Newsom suona piano, wurlitzer e clavicembalo oltre all’arpa che maltratta a caso usandola come
banjo (Bridges And Balloons), xilofono (Cassiopeia), contrabbasso (The Book Of Right-On),
dulcimer (Sadie). ‘E l’album che rivela a pubblico e critica le capacità vocali dell’artista,
letteralmente qualcosa di mai sentito prima: chiamarla infantile è riduttivo, accostarla ai recital di
Laurie Anderson, ai canti di strada o alle filastrocche rurali è ancora un’approssimazione per
difetto. Per quanto largamente basato su brani già comparsi sugli EP e i singoli, tuttavia l’album
presenta nuovi numeri di tutto rispetto: la follia cabarettistica di Inflammatory Writ, le elegie
dolenti di This Side Of Blue e Swan Sea oltre alle già citate follie sull’arpa. Per il suo 2° LP Ys (2006)
la Newsom si avvale della produzione di Steve Albini, Van Dyke Parks e Jim O’Rourke per
confezionare un album dalla struttura classica (solo 5 lunghe composizioni) che lambiscono tanto il
pop eccentrico (Cosmia per metà salmo per metà folk song) quanto l’opera teatrale (il tour de
force vocale di Emily) o il melodramma classico (il recitato dimesso di Sawdust And Diamonds).
Ciò che rimane nel cuore e nel cervello è però la capacità dell’artista di inserire la sua voce nel fluido
movimento melodico dell’arpa o degli altri strumenti spesso usati in funzione orchestrale (Monkey
And Bear, Only Skin una vera e propria suite classica): il risultato è una curiosa emozionante opera
d’arte a dispetto della sua immediatezza espressiva.
La Newsom forma un gruppo spalla, la Ys Street Band per l’omonimo EP (2007) contenente l’inedita Colleeen. Ci vogliono altri 3 anni perché
la Newsom dia un seguito alla storia. Lo fa con Have One On Me (2010), album ambizioso (è un
triplo) e strutturato tenendo finalmente conto in uguale misura sia del retaggio colto dell’artista,
sia della fruibilità delle canzoni che sono per l’appunto ballate (In California, Occident), romanze
(No Provenance, Jack Rabbits), austere musiche rinascimentali (Easy, ’81, Go Long, Kingfisher)
pescando indifferentemente nella musica classica (On A Good Day, Autumn), nel blues (Does Not
Suffice), nel country (Good Intentions Paving Company), nel folk (Ribbon Bows), nel jazz (la title-
track) e infine nel pop (You And Me Bess) e nella psichedelia (Baby Birch, Esme). Quale che sia la
forma prescelta tuttavia la Newsom mantiene comunque elevatissimi standard compositivi e
dimostra di padroneggiare compiutamente la sua meravigliosa voce molto vicina ora al trillo lirico
di Kate Bush, ora alla meditazione esistenziale di Joni Mitchell. Per ora questo è l’ultimo LP di
Joanna Newsom. L’artista intanto si è sposata ed è attualmente costantemente impegnata in tour
da sola o in compagnia con altri esponenti dell’avant-folk USA.
di Alfredo Cristallo