PAOLO SAPORITI BISOGNAVA DIRLO A TUO PADRE CHE A FARE UN FIGLIO CON UNO SCHIZOFRENICO AVREMMO CREATO TUTTA QUESTA SOFFERENZA

Bisognava Dirlo A Tuo Padre Che A Fare Un Figlio Con Uno Schizofrenico Avremmo Creato Tutta Questa Sofferenza: dietro a questo titolo che lascia intravedere un indicibile dramma familiare c’è l’ultimo lavoro di Paolo Saporiti, un doppio EP col quale il cantautore alt-folk ci conduce, attraverso i suoi testi votati alla ricerca interiore, nel suo universo unico e terribile. Qualche informazione introduttiva e biografica. Paolo Saporiti è di Milano, usa la chitarra baritona e suona un folk pesantemente contaminato (e diciamolo pure d’avanguardia): non a caso si fa accompagnare in studio e dal vivo dal violoncello elettronico di Zeno Garbaglio e dalla chitarra elettrica di Xabier Iriondo due campioni della dissidenza armonica nei territori del folk. Il primo album esce nel 2006.

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S’intitola The Restless Fall, le liriche sono in inglese, i brani sono 12 bozzetti acustici dall’incedere monolitico e spietatamente funereo. A questo incoraggiante esordio segue il meno convincente mini-lp Just Let It Happen (2008); tuttavia è da qui che Saporiti organizza un ensemble con Iriondo e Christian Alati alla chitarra, Francesca Ruffilli al violoncello, il percussionista Lucio Sagone. Due anni dopo con la produzione di Teho Teardo esce il terzo album Alone (2010; con la bellissima Rotten Flowers). Nel successivo L’Ultimo Ricatto ( 2012; con Iriondo e Garbaglio) Saporiti raggiunge infine una cifra stilistica convincente: scarne pennellate strumentali (di Iriondo), splendida voce introspettiva, spasmi jazz (del batterista Cristiano Calcagnile), saturazioni elettroniche (di Garbaglio) e fiatistiche (Stefano Ferran al sax) volte a frammentare quelle che altrimenti sarebbero sparute vignette per sola voce e chitarra. Questo programma trova la consacrazione espressiva nel successivo album Paolo Saporiti del 2014, finalmente cantato in italiano e un vero capolavoro capace di mettere d’accordo chi ha amato Nick Drake ma conosce l’arte lunatica di Roy Harper.

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Pochi mesi dopo e arriviamo a Bisognava Dirlo…. nuovo tassello della ricerca catartica di Saporiti. Si tratta di un doppio EP caratterizzato da 2 produzioni distinte delle stesse 6 canzoni: nella prima il produttore Raffaele Abbate della Orangehomerecords riunisce attorno a Saporiti un nugolo di eccellenti musicisti composto da Calcagnile (qui anche al piano), Armando Corsi (chitarra elettrica), Roberto Zanisi (bouzouki, dobro), Luca Passavini (basso), Raffaele Kohler (tromba, flicorno), nella seconda ci sono solo Saporiti e Iriondo. Nella prima parte sorretto sorretto da un ensemble da camera dedito in ugual misura sia all’accompagnamento della melodia principale, sia alla decostruzione della stessa (o alla libera improvvisazione), Saporiti confeziona piccoli lied espressionisti affogati in un umore funereo e annoiato o cullate nell’ebbrezza dell’inedia e del pathos. Lo stile adottato può essere il folk progressive di A Modo Mio, quello fiabesco di In Costante Naufragio, quello psichedelico di Hotel Supramonte (una cover di De André). Oppure può omaggiare il cantautorato italiano degli anni ’70 (Io Non Resisto, Per L’Amore Di Una Madre), o distendersi infine in Figlio Di Madre Incompleta, un jazz lounge con finale fiatistico free form.

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Nella seconda parte in cui l’acustica di Saporiti è fronteggiata dallo sperimentalismo sonoro e abrasivo di Iriondo (tutti gli strumenti sono filtrati attraverso il synth), a dominare è una sorta di musica d’avanguardia che usa la manipolazione elettronica per descrivere gli stati alterati della psiche o una spaventosa forma di dissociazione della personalità. Da qui nascono il noise per voce e chitarra distorta di Per l’Amore Di Una Madre, i free form cosmici di Figlio Di Una Madre Incompleta e In Costante Naufragio, i droni astratti e ambientali di Io Non Resisto, Hotel Supramonte e A Modo Mio peraltro un pop desolato lasciato a vagare nel nulla. I testi (autobiografici) sono lacerati ma mai autoindulgenti. L’effetto complessivo dell’album è insieme straniante e stupefacente: come in un gioco di specchi non si può mai intuire quale delle due parti sia stata fatta prima. Ed è forse questo il merito maggiore di Saporiti.

di Alfredo Cristallo

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