Soley è l’ultimo prodotto (cronologicamente) della scena musicale islandese, una scena che dalla fine degli anni Ottanta fino ad oggi ha sfornato una cornucopia di ottimi artisti nel campo del pop (e del dream pop), dell’ambient, dell’elettronica: basti pensare a Bjork, ai Sigur Ros, ai Mum. Di fatto la musica di Soley riassume in un certo senso tutti questi stili e di suo vi aggiunge una spiccata propensione per la polifonia e la stratificazione vocale che ne fa una naturale erede delle esperienze stilistiche di Kate Bush o Enya. Soley (il cui cognome è Stefansdottir ossia figlia di Stefans) proviene da Hafnarfjordur, un sobborgo di Reykjavik e ha studiato piano classico e jazz fin da bambina (proviene da una famiglia di musicisti) e più tardi composizione, chitarra e piano all’Accademia d’arte islandese. Dal 2006 fa parte dei Seabear un gruppo di alt-folk come pianista e seconda voce e con loro ha realizzato due album e un EP. Nel 2010 ha iniziato una sua carriera solista con l’EP Theater Island e l’anno successivo ha pubblicato il suo primo album solista We Sink, col quale si è fatta apprezzare dalla critica per i suoi chiaroscuri pianistici, le ambientazioni misteriose e nostalgiche dei suoi brani (i testi sono spesso surreali ed ermetici) e la delicatezza della sua dizione vocale, un’inglese con suggestive sfumature nordiche. Nel 2014 ha pubblicato Kromantik un mini-LP per soli piano e voce concepito come rielaborazione di brani composti quando studiava in Accademia (e più tardi usati come colonne sonore per teatro e cinema) e allo stesso tempo come parte introduttiva di un successivo e più ampio progetto. Il quale è infatti uscito nel Maggio 2015 col titolo di Ask The Deep, risultando come già anticipato in alcune interviste durante le registrazioni, un lavoro ancora più autunnale e dark dei precedenti. Il mondo di Soley sembra infatti popolato da fiabe oscure, sogni surreali e incubi infantili: il cantato illustrativo, cinematografico e psicologico, le parti strumentali fiabesche e misteriose e i poliritmi sonori concorrono a creare un album che riporta gli stili citati all’inizio a una dimensione più magica e ancestrale. L’album si apre con Devil un lied da camera per piano tintinnante e voce sommessa che si apre infine su uno squarcio panoramico di voci sovrapposte, si sviluppa attraverso territori pop pervasi da atmosfere notturne (Aevyntur, primo singolo estratto dall’album), spoglie (Breath ad andamento ritmico sospeso) o dense di bisbigli misteriosi (Follow Me Down), si avventura fra i nugoli riverberati e impalpabili dello shoegaze più angelico (Halloween il secondo singolo estratto, Dreamers), sfiora il dark macabro e teutonico in I Will Never (intro di organo ecclesiastico su cui s’innesta una voce sospesa a metà fra film horror e supplica infantile) per ripiegare poi nelle più umili e sofferte One Eyed Lady (un salmo per voce e – pensate un po’ – mellotron) e la finale Lost Ships, una litania funebre per piano e voce rarefatta nello stile mistico e primordiale di Julia Holter. Per quanto preferisca ammantarsi e quasi ritrarsi in lambiccate e cupe simbologie, Soley è un’artista completa: la fluidità essenziale delle armonie, la ricerca di esili detriti sonori elettronici o folk e il pop saltellante e romantico ne esaltano le qualità di dotata polistrumentista e raffinata interprete e autrice. Come tutti i suoi precedenti lavori solisti e con i Seabear, anche Ask The Deep è pubblicato dalla Morr Music, ormai consolidato avamposto islandese sul continente nel settore delle label indipendenti.
di Alfredo Cristallo