Gli Stash Raiders e il loro primo album Apocalyptipop sono una felicissima e freschissima novità nel panorama musicale italiano. La loro colorata iconografia di pirati intergalattici vestiti non con tute fantascientifiche ma come da veri tipi da spiaggia è coerente con la loro musica proteiforme che non è semplicemente frutto delle diverse influenze musicali dei vari membri del gruppo. Lo stile dei Stash Raiders è anzi un vivacissimo patchwork di idee capace di raccogliere nello stesso momento l’attitudine alla destrutturazione programmatica della forma canzone dei Red Craiola, il gusto per la saga intergalattica infarcita di sublime nonsense tipico dei Gong, e l’atteggiamento distaccato e ironico che prende in contropiede in un sol colpo psichedelia, musica circense e prog-rock come nei Camper Van Beethoven più eccentrici. ‘E cioè un programma che tiene insieme tre decenni di rock e lo sviluppa in mille modi inimmaginabili. Basti pensare al gruppo e alla strumentazione usata. Accanto alla classica sezione ritmica di Davide Toscano (basso) e Luca Caruso (batteria), veleggiano arditamente la chitarra acida di Luca de Iorio, il polistrumentista Davide Iannitti (sax, violino, chitarra, sitar) e il clarinetto di Francesca Giunta, la cui fresca voce s’intreccia con quella di Sacha Tilotta che coordina l’ensemble col suo organo felicemente canterburyano.
La forza d’urto di questa formazione è impressionante. Ogni secondo di musica c’è un’invenzione che rende giustizia al milieu anarcoide e surreale della band. Apocalyptipop (pubblicato il 06 Giugno del 2015 per la neonata label catanese Hopeful Monsters, un nome un programma) è un viaggio interstellare in nove tappe (per soli 37 minuti), un concept album che fonde fiaba, operetta, cartone animato e music-hall in un college sfrenato di suoni e immagini ma senza perdere il gusto per le sintassi armoniche disarticolate e le centrifughe dissonanti. Si parte con Kermit un trip-hop alla Beck per atterrare a The Mammoth Song un prog-rock tutto in sordina costruito come un coro di ubriachi per piano, fiati, voci e rumori di oggetti di varia provenienza incrociati secondo le regole (regole ?) del caos creativo. La samba volteggiante di Cairo è il momento esotico che introduce ai due lambiccati nonsense di He’s A Fisherman He’s A Chef (costruita su buffonerie fiatistiche e ritmica tribale) e Talisman (che sovrappone un recitato brechtiano a uno sfrenato rockabilly). Il soul pop di Me, You And Everybody Knows, un surf futurista con un assolo progressive di organo che si sviluppa senza mai perdere il ritmo da piper e il power pop di Business Call sono i momenti stilisticamente più classici prima della mini-sinfonia di Without Space And Time, quasi otto minuti di trance mediorientale per violino, sitar e sinuose volute di organo e la sarabanda infernale di Fish Porn un hard-rock puntellato da chitarra e organo che viaggiano febbricitanti all’unisono prima che l’ultima nota svanisca e l’astronave riparta verso chissà quale buco nero. Sfrenata e allo stesso tempo concettuale, paradossale e insieme felicemente geometrica la musica degli Stash Raiders propone sotto una patina di disinvolta incompetenza, un contrappunto sofisticato e avveniristico. Azzeccatissima la copertina con front-page che richiama la saga di Indiana Jones e il retro disegnato come la mappa di un videogame fantasy.
di Alfredo Cristallo