Alessandro Fiori è un cantautore aretino. Nato nel 1976, ha iniziato a studiare violino e pianoforte dall’età di 11 anni, continuando gli studi al liceo musicale. Inizia a scrivere le sue prime composizioni a 14 anni. Frequenta l’arte d’Accademia drammatica ad Arezzo e poi il DAMS ma non completa gli studi , avendo deciso di dedicarsi all’attività musicale. Insieme agli amici Michele Orvieti e Gianluca Giusti conosciuti fra liceo e DAMS fonda i Mariposa nel 1998. Con loro pubblica 9 LP e svariati EP fra il 1998 e il 2011. Nel 2002 collabora al progetto TIMET insieme a Lorenzo Brusci e nel 2004 fonda il supergruppo Amore (1 EP e 1 LP pubblicato fra 2004 e 2007). Dal 2007 stringe un sodalizio artistico con Alessandro Stefana, chitarrista di Andrea Chimenti e Paolo Benvegnù e collabora ai dischi solisti di quest’ultimi due. Intanto insegna teatro nelle scuole elementari del Mugello e forma con Stefana il duo Assodifiori. Nel 2009 fonda con Marco Parente il duo BettiBarsantini (1 solo omonimo LP pubblicato nel 2014) e l’anno dopo lascia i Mariposa e pubblica il suo primo LP solista Attento A Me Stesso, seguito nel 2012 dall’EP e dall’album Questo Dolce Museo (LP ed EP hanno lo stesso titolo). Sempre nello stesso pubblica insieme ai Craxi l’album Dentro I Battimenti Delle Rondini. Nel 2013 pubblica il terzo album solista Cascata (solo in vinile) e infine nel 2016 esce il suo ultimo album Plancton.
Dietro questa rutilante attività artistica vi è un genio folle e dolente, sognante e meditativo come un Bon Iver italiano. Il suo ultimo album pubblicato nel novembre del 2016 è un album dove la musica e le parole si muovono solo a tratti, sospesi nel tempo e in un magma sonoro dove elettronica, elettroacustica, computer programming e persino struttura melodica sembrano quasi microrganismi che affiorano qua e là, rilasciando occasionali e tenui sprazzi di luce (appunto come i microrganismi che compongono il plancton) su uno sfondo dove a dominare è soprattutto l’oscuro e l’indistinto. L’arte di Fiori appare quindi ripiegata su sé stessa, lasciata come una carcassa nei boschi al semplice scopo di decomporsi e assorbire nuovi odori, nuovi suoni e nuove meccanismi sonici. In realtà ci troviamo di fronte a strutture flessibili per arrangiamenti creativi, scelte lunatiche e sprazzi intellettuali. Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma nel sound di Fiori. Tutti i mezzi sonori e cibernetici sono usati per creare una musica volutamente cubista e alla ricerca di un senso almeno finché non si ricade in una (voluta ?) evanescenza. Così negli esperimenti di astrattismo come Aaron deformato da glitch, riff cosmici e sonate per archi e in quelli più industriali di Io Ho Paura e Ivo E Maria.
Altrove sembra quasi (ma molto quasi di scorgere) forme stilistiche ben più conosciute come il dream pop di Margine e Madonna Con Bambino o nel trip hop ambientale su drone minaccioso di organo di Sereno o nel glitch mixato con l’hip hop di Galluzzo prima di ricadere nell’indistinto, nel complesso e nel disarticolato che tuttavia produce le cose più interessanti dell’album: ovvero l’ambient subacqueo conteso fra i Labradford, il paesaggismo psichedelico di Roy Montgomery e la musica per colonne sonore della title-track, il meccanismo destrutturato di Piazzale Michelangelo (un chamber lied che si tramuta in un vanesio music hall con cadenza androide per concludersi in un loop industriale) o il boogie congelato di Mangia fra declamato, archi dissonanti e battito di drum machine tutti registrati al ralenti.
Come se avesse deciso di celebrare con una tavolozza sonora ala perdita di punti di riferimenti dell’era attuale, Fiori affonda la sua personale weltansschaung artistica in una marea di sperimentazioni pure dove strutture estremamente complesse vengono sistematicamente private del loro contenuto emozionale ripiegando su arrangiamenti ostili e disumani dove l’unica traccia di amicizia e calore è data dalle parti cantate. Coprodotto con la personale Ibexhouse e Alabianca e distribuito dalla Woodworm.
di Alfredo Cristallo