Alla fine di questo infuocato luglio del 2017 è stato pubblicato in anteprima su Noisey Italia, il
videoclip Cassius, singolo anteprima del primo full lenght album Parabolabandit dell’artista e
performer veronese Sequoyah Tiger (al secolo Leila Gharib). Ho pensato così (stante anche la
relativa scarsità di novità in questa estate) di rispolverare il suo primo lavoro l’EP di 22 minuti Ta-Ta-Ta Time vecchio di un anno fa (è uscito ad aprile del 2016) che venne pubblicato dalla label berlinese Morr Music ma di cui la Gharib curò personalmente tutto l’apparato visivo (copertine,zine, video, bandiere) a conferma della multidisciplinarietà dell’approccio artistico dell’artista. Il progetto di Sequoyah Tiger sviluppa le sue precedenti esperienze nei Bikini The Cat (gruppo post punk attivo fra il 2004 e il 2008) e soprattutto nei BarockTheGreat, gruppo di performing art formato dalla Gharib e dalla danzatrice Sofia Brunelli, che sviluppò un programma volto a focalizzare l’interazione espressiva fra le radici mentali del movimento, la fisicità e l’aspetto rituale della musica e l’architettura dello spazio come elemento abitabile; un’esperienza che portò il gruppo a collaborare con designers e writers (8 produzioni fra il 2008 e il 2014). A partire dal 2014 con il moniker di Sequoyah Tiger sviluppa un progetto che si avvale sempre della collaborazione della Brunelli nelle esibizioni live ma che punta a esprimere una dimensione inedita della forma canzone basata sull’interazione fra esplorazione della tensione vocale, sperimentazione musicale che tratti le parti cantate attraverso loop sintetici e strutture armoniche ottenute con il sampling e il computer programming. Il risultato è una sorta di pop strambo che usa il cantato come tessera di partenza per un processo musicale creativo in cui le canzoni vengono lasciate divagare (tramite
l’elettronica)per evolversi in qualcosa d’altro. Le orchestrazioni usate sono talmente impegnative e poco ortodosse da far sembrare che l’elaborazione sonora collegata (e sovrapposta) alle parti vocali passi in modo casuale come attraverso un frullatore. Questo processo eclettico è particolarmente evidente nelle composizioni più complesse come Five Chants e Awayaway. La prima è una sinfonia organica di elettronica pulsante a cui viene applicato un tripudio di eteree armonie vocali, bisbigli e sussurri, sterminati om cosmici: il risultato è un fondale da tragedia greca proiettato nella spazialità creata dai vertiginosi campionamenti della voce. La seconda è un carosello martellante di percussioni, tastiere ripetitive e interventi vocali organizzate con tecniche selvagge di sampling e ulteriormente perforate da droni di organo: soprattutto in questo brano si evidenzia in tutto il suo fulgore la capacità della Tiger di riorganizzare e riassumere tre decenni di esperimenti sulla voce, dai lieder di Meredith Monk alle ninnenanne galattiche di Julianna Barwick passando per i gorgheggi soavi di Heather Duby. Una variante di questa prassi è data dalla rilettura
di melodie evergreen che fanno parte dell’immaginario e della cultura basica della musica leggera dagli anni ’50 in poi e dalla loro trasformazione in saggi postmodernisti attraverso il tape programming (il motivetto sentimentale di Hey Paul Anka, un classico teen anthem trasfigurato in un’elegia elettronica alla Enya, e Slimer Smile un’altra innocua canzoncina estiva disposta su una piattaforma dub e orrendamente deturpata da ritmiche sintetiche in un girotondo di percussioni, tastiere acide e gorgheggi circolari di canto. Bizzarri e eccentrici, questi brani hanno assimilato alla perfezione la lezione dei Kraftwerk e degli Stereolab. Al confronto la break beat eterea di The Fire D Vampa è semplice muzak. Le stilizzazioni vocali di Sequoyah Tiger combinate alle partiture intricate ( al limite della psichedelia) dei suoi brani sono un saggio micidiale di analisi psicanalitica e di trasformazione dello spazio sonoro.