FLORENCE ELYSEE Home

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I Florence Elisèe sono un gruppo di Pesaro attivo fin dal 2013. Dalle scarne notizie rintracciabili su di loro sappiamo che il nucleo centrale (peraltro rimasto immutato negli anni) consisteva nel cantante e chitarrista Samuele Ballerini e nel batterista e tastierista Giovanni Farina che già militavano nel gruppo locale Sammy Wants To Fly da cui decisero di distaccarsi, per registrare le canzoni originali composte da Samuele. Il gruppo aggiunse al basso e alla voce Elisabetta Del Ferro che avevano incontrato alla gelateria sopra la sala prove. Il processo di registrazione e preproduzione fu molto lungo e accurato permettendo al gruppo di curare ogni dettaglio di ogni singola canzone, di definire più rigidamente la divisione di ruoli all’interno del gruppo (tutti e tre sono ottimi polistrumentisti) e di aggiungere alla strumentazione della Del Ferro la raffinatezza di una viola da gamba (un cordofono ad arco dotato di 7 o 6 corde intonate per successione di due quarte; è uno strumento inventato nel XV secolo e usato fino al XVIII secolo).

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Preceduto dal singolo Letters del 2015, il disco Home viene pubblicato nel maggio 2017. Il sound dei Florence Elysèe è languido e nostalgico, meditativo e stratificato nella divisione delle frasi sonore. Si avvale dell’effettismo psichedelico tipico di Radiohead e Coldplay ma con finalità diverse dal formalismo di questi gruppi poiché il fine è ammantare le canzoni di un soffuso lirismo e di uno spleen esistenziale acuto e incurabile che serve a sottolineare quella ricerca della casa come rifugio che appare costantemente nelle liriche (l’album è interamente cantato in inglese).

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Persino quando la ritmica delle loro canzoni (che sono a tutti gli effetti delle confessioni o l’elenco quantitativo dei dettagli di un’acuta alienazione) diventa epica, rimangono comunque trepidanti cantilene che cullano l’ascoltatore nella loro ragnatela di sonorità, di accordi e di sensazioni trattenute e come trafugate al passare del tempo. Il limite della loro musica sta nel fatto che spesso le canzoni sembrano tutte uguali. Per esempio il calco di Letters uno slo-core vicino alle elegie sommesse di Lou Reed si ripete testardamente in Image, Sharp e Strange Behaviour che se possibile è anzi ancora più angosciata. Stessa cosa per The Riddle e The Wall, The Wheel, The Sheet, due arpeggi fluttuanti e anemici che sfruttano le dissonanze melodiche dei Seam per promuovere una forma canzone capace di galvanizzarsi ma mai di prendere quota.

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Gli altri brani sono variazioni sul tema della rassegnazione e dell’impossibilità di redenzione in un mondo di sole sconfitte ma hanno almeno il coraggio di osare armonicamente qualcosa di più, quanto meno di sfiorare la ballata folk alla Cat Stevens (Towards Home), il power rock acustico dei Led Zeppelin del terzo album (Old Stones), il madrigale trascendente alla Felt (Beautiful), la ballata iperrealista alla Elliot Smith (The 14th Day), persino lo shoegazing (This Is The Last Time). Non deve sorprendere che il brano di chiusura che riprende il titolo dell’album sia una summa dell’intero lavoro (arpeggio malinconico e dimesso che a poco poco prende quota fino a trasformarsi in qualcosa che sembra quasi un vibrante power rock per poi ripiegarsi in un bisbiglio finale), l’ennesima ammissione di fallimento sia pure adombrata da una qualche forma di serena rassegnazione. In generale tuttavia ogni nota dell’album ci ricorda di quanto sia futile vivere. Il mixing finale è stato fatto da Paolo Rossi.
L’artwork è di Ilenia Pascucci design e l’album è totalmente autoprodotto.

di Alfredo Cristallo

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