“Spesso il male di vivere ho incontrato,
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.”
(Eugenio Montale)
Si il male di vivere, la noia, il disagio, la rabbia, la solitudine, la frustrazione l’indifferenza. E quel maledetto bisogno di riempire, riempire, riempire un vuoto insaziabile. Quella sensazione di amore perduto. Il tempo che ci sfugge via e il senso che si perde nella confusione dei giorni diversamente uguali.
Quell’anima intrappolata in un corpo troppo piccolo per contenerla. Un corpo che diventa pesante e superfluo nei momenti di tristezza, che ha bisogno solo di essere abbracciato. Invece viene riempito.
Per nascondere un dolore troppo grande, che neanche tu stessa sai a cosa ricondurre e che non vuoi sentire. E riempi. Per saziare un bisogno di amore palpitante e implacabile. E riempi. Ti ingozzi fino a soffocare. Il cibo in quel momento è la consolazione, il rifugio, l’amore.
Perdi il controllo di te stessa in quella nervosa azione maniacale e ossessiva. Nulla di differente rispetto ad altri tipi di addiction.
Ma si sa, “Il troppo stroppia”. E ti senti uno schifo, cominci a vedere la tua immagine esageratamente grassa e deforme, ti senti in colpa per quel comportamento fragile e dipendente da qualcosa che cominci improvvisamente a odiare. Lo stesso cibo che prima ti aveva così confortato, ora lo devi eliminare dal corpo. Troppo amore = ossessione. Ti senti soffocare dal Troppo. E devi assolutamente svuotare in qualche modo. Lo svuotamento spesso non basta , devi sfogare e spesso ti ammazzi in palestra per trasudare quella frustrazione.
Dopo lo svuotamento fisico, quel dolore che tentavi di reprimere ti lacera violentemente e risale in malo modo. Così arriva anche l’ansia, talvolta seguita da attacchi di panico. Quel devastante senso di mancanza di un qualcosa che manco io so definire. Un senso di “inconcluso” e sconclusionato. Una cadenza sospesa. La morte, la follia, poi tutto passa, e si aggiunge a tutto la paura di quello che è stato, e che possa ripresentarsi.
Il cibo, il sesso , l’alcool, modi diversi di esorcizzare la paura dell’esistenza, la paura di non essere amati, di non essere abbastanza, di non essere arrivati al punto nella vita, quel giudizio così severo che noi stessi abbiamo di noi stessi.
Comportamenti autodistruttivi, talvolta sottovalutati dalla società, considerati “fisime” da coloro che hanno deciso di abortire la propria sensibilità per non vedere e non sentire il loro male di vivere.
Senti le loro anime ruvide e corazzate che sgretolano la tua. Sì, perché vedono in te i loro punti deboli, ma non tutti hanno il coraggio di aprire il vaso di Pandora.
Racconto questo semplicemente perché voglio vivermi in pieno insieme ai miei difetti e alle mie debolezze.
Per vedermi e cercare di vivere anche quel vuoto, senza scacciarlo o riempirlo invano con surrogati superflui.
Ho solo voglia di gridare me stessa. Chissà che questo non aiuti anche altre anime.