I Kaiju sono un gruppo laziale di Minturno (provincia di Latina) che prendono il nome dai mostri marini giapponesi formatisi in conseguenza delle radiazioni atomiche (come il famosissimo Godzilla). Il gruppo si è formato sulle ceneri dei De Void un gruppo che già proponeva un crossover tempestoso fra hard-rock, funky e fusion e che aveva pubblicato un album Wahed nel 2006. Dopo aver partecipato a vari festival sono seguiti alcuni anni di inattività finché due membri del gruppo Ivan Gojira Franzini (voce, chitarra) e Antonio Void Colaruotolo (basso) decidono di riformare il gruppo ampliando il loro panorama musicale. Arruolano quindi Augusto Bortolini (batteria) e Gianluca Merenda (chitarra solista) e decidono di ripartire laddove il discorso dei De Void si era interrotto, tesaurizzando le varie influenze musicali di ogni singolo membro. Il loro primo LP dal titolo omonimo viene pubblicato il 7 febbrato del 2018 per la Neos Kronos. Il nuovo lavoro assorbe elementi di hardcore, progressive rock, musica etnica e reggae (oltre ad hard-rock, funky e fusion ovviamente) proponendo un sound fulminante, composito e fulminante. Se è concettualmente esatto descrivere la musica dei Kaiju parlando di contaminazione di stili come questa si è evoluta dagli anni Sessanta-Settanta (il jazz-rock creativo dei Soft Machine, dei Nucleus e dei Colosseum, l’hard progressive degli Uriah Heep e dei Jethro Tull del periodo migliore) agli anni Ottanta-Novanta (il jazz punk dei Minutemen, il reggae-hardcore dei Bad Brains, la fusion hard-rock dei Living Colour, il punk falso melodico dei Bad Religion) è altrettanto corretto riconoscere come i Kaiju abbiano coniato un nuovo standard di canzone che sposa perfettamente il nichilismo e la violenza musicale dell’hardcore e dell’hard rock (e quindi lo spiritualismo metropolitano) con i linguaggi di differenti culture (blues, jazz, reggae) ognuna delle quali mantiene una propria dignità
e una propria compattezza e una propria capacità di rimandare alla ricchezza dei differenti stili musicali. Al riparo di uno stile che ha pochi eguali nel panorama musicale italiano e che vive di improvvisazioni soliste, repentini cambi di tempo e un’onnipresente violenza brada vediamo scorrere l’hard- rock ferroviario della title-track, l’hard- funky Clam Academy che inietta su un tema degna della colonna sonora di un film di James Bond le veementi progressioni alla Primus, l’hard- progressive di Social Mosquito’s Tune, Self-Aftermath e Tyra (nobilitato da un interscambio cosmico fra le due chitarre), l’hard-fusion a ritmo panzer di Unavoidable, Abdul’s Voyage (con suggestioni mediorientali) e la Vie En Beige (praticamente una riscrittura violentissima di La Vie En Rose) e l’hard-reggae di Italy’s A Bitch (con canto rap) e Smile Upon The Sea (il primo singolo tratto dall’album) che si rivelano i momenti migliori dell’LP: tutto senza un attimo di tregua. La chitarra di Merenda spazia su tutto il fronte d’attacco usata come febbricitante, abrasiva, infuocata producendosi in sventagliate di chitarra devastanti e miasmatiche, perfettamente assecondata dal batterismo incalzante di Bortolini, dal basso mobilissimo ed acrobatico di Colaruotolo e dal canto poliedrico di Franzini. Per la quantità di idiomi innestati quella dei Kaiju è una musica fondamentalmente revivalistica che si serve dell’hard-rock come veicolo resuscitando quindi un genere che sembrava non avesse più nulla da dire e rappresentando dunque una novità musicale formalmente impeccabile.
di Alfredo Cristallo