Gli Aabu sono una band bolognese nata nel 2010. Dopo aver passato i primi anni di carriera a dilettarsi di concerti dove capita e “cazzeggiare tra gli amici (musicisti)”, come dicono loro stessi, hanno pubblicato la loro prima prova nel 2016, l’album Basta Scegliere che conteneva 8 brani ognuno dei quali aveva due versioni diverse (quindi 16 pezzi in tutto) e sfoderavano un sound indie rock vicino alla sensibilità dei Verdena e degli Afterhours.
Due anni dopo il gruppo ci riprova con un album nuovo di zecca dal titolo Abbiamo Ancora Bisogno Di Urlare (il cui acronimoè appunto AABU), pubblicato il 9 novembre 2018 per La Cupola Music. Nel nuovo disco il gruppo, un quintetto composto da Alessandro Cairo (chitarra), Mattia Pace (chitarra),
Michele Zappoli (basso), Sonia Bondi (batteria) e Alessandro Sgargi (voce), ha accentuato i toni robusti e ispidi del loro sound puntando a un hard blues che volteggia fra lo stoner e il noise reinventando un genere fatto di brani assordanti, trascinanti, ipnotici e scorbutici che fondono insieme iterazioni minimaliste, cacofonie e ansie psichedeliche.
La missione del gruppo è sostanzialmente quella di forgiare canzoni di grande respiro e al tempo stesso siluri di presa immediata. Seguendo questo programma, il gruppo inanella uno dopo l’altro boogie ferroviari fitti di nevrosi (Tutte Le Cose Sbagliate, Grazie decisamente più umile e cupo), dark punk nevrotici (Confessione) e psych rock oscuri (Ti Voglio Bene, Si Può Sbagliare Ancora) vicini alla sensibilità dei Cure, hard rock suonati a rotta di collo con inflessioni di chitarra atonale alla Placebo (L’Orologio, Tutto Facile), cadenzati (La Fine Di Tutto) o infiltrati da ritmiche tribali alla Cult (Io Sono Un’Ombra). In tanta tempesta sonica il gruppo si trova comunque a proprio agio anche quando si distende in un post-rock cameristico (Camilla, la title-track) che dietro la parvenza di melodie più amichevoli e rotonde celano testi forse addirittura più ispidi e ribelli. Da queste vette allucinate, senza mai perdere di vista il ruolo guida della melodia, gli Aabu si lanciano in un’ossessiva vivisezione dell’alienazione
contemporanea, ergendosi a cantori di un popolo di dannati che non capisce (perché non può capirlo) l’inferno in cui è stato precipitato. Il loro mix fra cadenze cingolate, voragini di decibel e nubi di rumore definiscono compiutamente e prepotentemente il loro canone armonico potendo vantare peraltro il piglio e la statura del rock classico.
di Alfredo Cristallo