Fabio Barovero è un musicista e compositore torinese (è nato nel 1966), noto al pubblico italiano per aver fondato insieme a Luca Morino prima i Loschi Dezi e poi il gruppo dei Mau Mau (Barovero vi suonava la fisarmonica), gruppo capofila della world music italiana. Barovero è rimasto nel gruppo per tutta la sua durata (7 album dal 1992 al 2016), e nello stesso tempo, ha lavorato componendo musiche per eventi teatrali, colonne sonore (per lo più con Davide Ferrario e Stefano Mordini, l’ultimo Il Testimone Invisibile è del 2018), ha fondato con Roy Paci i Banda Ionica (2 album fra il 1997 e il 2002) e i Banda Maulera (una sorta di versione stradaiola dei Mau Mau) ed è stato premiato col Nastro D’Argento per la colonna sonora del film La Febbre di Alessandro D’Alatri (2005).
Nel frattempo ha trovato il tempo anche per avviare una carriera solista pubblicando nel 2002 l’album Preghiere e nel 2010 Sweet Limbo. Il suo nuovo album s’intitola Eremitaggi ed esce per la Felmay Records a fine Gennaio 2019. Il nuovo disco è un album ambient oriented dove una musica classica-elettronica-cinematica viene usata per creare sculture sonore per “allontanarsi dal tutto per avvicinarsi al tutto” (sono parole di Barovero) e ricreare quindi sensazioni e meditazioni su cose e luoghi abbandonati o scomparsi. Forte di una line-up compatta ed essenziale (Barovero all’elettronica e tastiere, Federico Marchesano al contrabbasso e Simone Rossetti Bazzaro al violino), l’album procede per fluttuazioni sonore a metà strada fra acid-rock, musica liturgica e minimalismo d’avanguardia su un panorama inerte e desolato: la struttura di base è data dalle risonanze, i riverberi, le distorsioni e i ronzii prodotti dagli strumenti elettronici mentre gli archi producono quell’atmosfera di drammaticità che confina con l’afflato religioso e l’astrattismo cosmico. In questo senso, Barovero produce un’estetica che eredita dal raga il senso del tempo, dal minimalismo la spontaneità e dal sinfonismo tardo romantico un manierismo grandioso che tiene insieme respiro metafisico, sensazionalismo da colonna sonora, maestosa ed elegante lentezza e meditazione eterea.
Lanciata sulle orme degli esperimenti più arditi del kosmische rock, l’opera si dipana attraverso i mantra cosmici di Santa Lucia Quorus (con archi klezmer) e di La Sacra (con archi classicheggianti), sul blues immobile di Susa Mountain disteso su uno stuolo di archi e percussioni elettroniche, sui ritmi meccanici alla Kraftwerk di Ottagoni Abbandonati, sulla sonata per piano ed archi di Xiborn al limite del free-jazz. Se il gusto per l’improvvisazione e per l’astrattismo compositivo è dato rispettivamente dai brani La Vita Incomprensibile (per violino, contrabbasso, accordi sfocati di synth e contrappunti occasionali di piano) e Millenaria (che rimanda al Bowie del periodo di Low), il punto di equilibrio fra sensazionalismo melodrammatico e controllo dei suoni è dato dai bordoni d’organo di Students (al limite dell’udibilità) e da quelli elettronici di Spiritus (più funerea ed evanescente) in una prassi che si consolida e si sublima definitivamente nella contemplazione cosmica di Ipogeo squarciata da archi balcanici ad ingenerare terrore e paura. La radiazione cosmica di fondo, la visione quasi zen del perenne e solenne incedere del tempo piuttosto che l’esplosione di una supernova, è l’obiettivo dell’arte di Barovero, il soggetto di una rappresentazione che recupera nello stesso tempo la monumentalità religiosa dei Tangerine Dream e dei Popol Vuh e i continuum lugubri e nevrotici dei Cluster. Eremitaggi potrebbe diventare l’album più bello e importante dell’anno.
di Alfredo Cristallo