L’avventura dei Morose inizia a La Spezia nell’agosto 1998 con la registrazione casalinga
dell’omonima cassetta contenente un lo-fi sgangherato e irrazionale che viene pubblicata dalla
Ouzel Records. Dopo numerose registrazioni amatoriali (spesso vendute in semplici Cd-Rom),
partecipazioni a varie compilation e la pubblicazione dell’EP Love Is A Swindle, il gruppo riesce a
pubblicare il primo LP La Mia Ragazza Mi Ha Lasciato (2003) che riceve ottime recensioni come
stupendo album di Lo-fi sulle orme dei Sebadoh, Black Heart Procession e Smog. In effetti lo stile
del gruppo si segnala per le loro armonie claustrofobiche, scarnificate ed elegiache, anemiche ed
abuliche: una serie di tratti che lasceranno l’impronta nei lavori successivi. Il gruppo pubblica poi
People Have Ceased To Ask Me About You (2005), On The Back Of Each Day (2006) e La Vedova Di
Un Uomo Vivo (2009) che segna il passaggio all’italiano per i testi.
A questo punto la line-up si stabilizza come duo formato da Davide Landini (voce, chitarra) e dal polistrumentista Pier Giorgio Storti (organo, harmonium, zyther mellotron, clarinetto, violoncello, piano, percussioni). Seguono l’EP Dell’Amore E Dei Suoi Fallimenti (2013) e la raccolta La Bygone Era (2014), una serie di registrazioni del periodo 1998-2004. Nel frattempo il gruppo ha un’intensa attività live che li vede impegnati in frequenti tour in Italia, Francia Belgio, Lussemburgo e USA. Dopo un periodo di stasi in cui i due si dividono (uno va a vivere in Usa e l’altro a Singapore), il progetto riprende vita nell’estate del 2018 e le registrazioni danno vita all’ultimo album che esce il 26 aprile del 2019 con il titolo di Sopra Il Tetto Sotto Terra per la Ribess/Under My Bed. Sotto l’egida di un cantautorato ascrivibile alla corrente del weird folk (con citazioni tanto di André e del primo De Gregori quanto
di Elliot Smith e Bonnie Prince Billy) la cifra stilistica del nuovo album è la somma della divisione
dei ruoli dei due strumentisti. Il sound dei Morose è sostanzialmente puntellato da due elementi.
Da una parte la chitarra si esibisce alternativamente in un country western desertico (con tracce di
Morricone) tenebroso, barocco e maestoso, sovraccarico di pulsioni omicide ed esoteriche che ne
fanno il veicolo di una sfibrante corsa verso l’autodistruzione oppure in un lo-fi malinconico,
ermetico ed esistenzialista che perfeziona la carica drammaturgica delle parti cantate. Dall’altra
parte le tastiere suonano in sottofondo, quasi in sordina esibendosi in textures oniriche, minimali
quasi impressioniste che si infilano negli interstizi melodici. Questo processo attraverso il quale
viene costruita la canzone perfetta riempiendo la stasi e l’astrattezza della linea melodica non è
meno inquietante di ciò che lo contiene, disegnando così un arido paesaggio spettrale immerso in
una calma di morte. Il risultato ottenuto supera le premesse e i riferimenti semantici di base (in
pratica Gun Club, Smog e Labradford) per assumere forme solenni che possono competere col
classicismo desolato e claustrofobico dei Van Der Graaf Generator (e ancor più col solipsismo
tormentato dei lavori solisti di Peter Hammill) coniando un idioma che si spalanca in abissi di paura
e disperazione, a cui vengono aggiunti sovratoni di pathos ed epos. Il tetro rosario si apre con i
desert rock lisergici di Forse Greta E’ Partita Davvero, di Sbagliare E’ La Cosa Più Giusta Da Fare,
della title-track e con la filastrocca oscura di Trallallero cantata come un sortilegio per sublimarsi
nella serenata folk lenta e scarnificata di Emanuela Pedala Veloce (abbellita da un passaggio di
violoncello alla Rachel’s) e nella ninnananna con cadenze da incubo per chitarra, mellotron ed
archi di Al Banchetto Della Vita e chiudersi delicatamente nella sonata astratta per piano ed archi
di Col Suo Sorriso Costanza e nel lied cameristico di E’Ora per chitarra, clarinetto e violoncello che
si evolve in una novelty da fiaba dell’orrore. Con questo lavoro i Morose hanno inventato una
forma-canzone costruite su atmosfere iper-depresse per litanie sonnambule che sono altrettanti
cataloghi di orrori quotidiani, sviluppando altresì una poetica che si culla nell’ebbrezza dell’inedia e
del languore e così esprimendo il profondo senso di angoscia di chi è obbligato a vivere in un
mondo che non ama.
di Alfredo Cristallo