I Goodbye, Kings sono una band formatasi nella provincia di Milano nel 2012. Esordirono nel 2014
con l’album Au Cabaret Vert dedicato alle opere di Rimbaud, Toulouse Lautre e Masaoka Shiki. Il
secondo LP che li impose all’attenzione della critica era intitolato Vento, uscito nel novembre del
2016, era ispirato ai miti e alle leggende sul vento. Nel dicembre del 2017 una loro canzone Targa
Florio 1906 ispirata ai piloti di Formula 1 degli anni ruggenti appare in uno split album con i
canadesi Spruce Trap.
Nel 2018 la band mette a disposizione dei loro fan un live interamente
gratuito sulla loro piattaforma bandcamp. Il nuovo album, interamente autoprodotto esce il 27
maggio 2019, intitolato A Moon Daguerrotype basato sull’idea che la nascita della fotografia (le
prime foto si chiamavano appunto dagherrotipi) abbia permesso all’uomo di indagare sulla sua
stessa esistenza in una maniera nuova riproducendo meccanicamente il mondo intorno a lui. Per il
nuovo album la band sfodera una corposa line-up di 7 elementi: Davide Romagnoli (chitarre,
samples, percussioni), Luca Sguera (piano, tastiere, synth, glockenspiel, percussioni), Luca Allocca
(chitarra, synth), Matteo Ravelli (batteria, percussioni), Riccardo Balzarin (chitarre), Alessandro
Mazzieri (basso) e Francesco Pianconesi (sax). La loro musica accoglie elementi di post rock (a
metà fra quello trascendentale dei Gastr Del Sol e quello atmosferico dei Godspeed You ! Black
Emperor), minimalismo (ripetizione ipnotica di figure elementari) e lo-fi (arrangiamenti spartani,
esecuzione dimessa).
Da una parte quindi si ha la sensazione di ascoltare una musica di minima
energia, minima eccitazione e minime emozioni, dall’altra parte il loro lavoro sono l’equivalente
musicale di rivelazioni mistiche dove ogni brano appare come l’espressione di uno stato mentale
alterato ed ognuna evoca un’altra incommensurabile dimensione. Questo programma suona
dunque come una prosecuzione della psichedelia nel segno però di una manipolazione
dell’elettronica più cosciente e pronunciata costruita filtrando i suoni degli strumenti e gli
arrangiamenti secondo una tecnica simile a quella dell’avanguardia, lasciando fluttuare in quel
magma spezzoni strumentali inintelligibili e appena udibili di una lentezza e un languore
esasperante salvo innalzarsi improvvisamente in scariche soniche e in ritmiche spigolose vicine al
punk progressivo e altamente drammatico dei Rodan (e per estensione degli Slint e dei Bitch
Magnet). I loro brani sono praticamente dei kammerspiel elegiaci che quando decollano
raggiungono un’intensità quasi parossistica salvo poi ripartire sotto forma di spartana confessione
acustica e trasformarsi in un pezzo di elettronica astratta. Se infatti il disco parte con lo space rock
alla Klaus Schulze di Camera Obscura, il successivo Melies The Magician parte sempre come saggio
di musica cosmica ma si evolve attraverso i feedback della chitarra in un acquerello romantico
squarciato da improvvisi cambi di umore e di ritmica. Un altro dei loro space rock Space From
Natives si tramuta invece in un saggio di etno-world memore degli esperimenti di Jon Hassell dei
primi anni ‘80. La trenodia ambientale e progressive di Drawing With Light che si inabissa in un
buco nero armonico introduce invece ai chamber lied di Phantasma (con sottotoni di musica
orientale) e The Ancient Camera Of Mo Zi che essendo un saggio per solo piano e cornetta suona
ancora più minimale e astratto. I brani più complessi ovvero i veri manifesti della loro arte sono
Giphantie (7 minuti) un rock blues carico di tensione ma suonato in sordina che si tramuta prima in
un salmo atmosferico noise-jazz e infine in un feroce flamenco in crescendo e la chilometrica title
track (15 minuti), una cavalcata infernale negli spazi celesti simile ai brani in 4/4 degli Hawkwind
che dopo una pausa sonora si converte prima in un epico jazz punk e poi in un vibrante prog-rock.
L’evoluzione dei brani sono sufficientemente eccentrici per alterarne lo sfarzo e volutamente
irregolare per obnubilare l’ascoltatore e disorientarlo. In generale sussiste una tendenza a
disintegrare ogni dettaglio, una tendenza che rende il tutto sempre più della somma delle parti
che lo compongono e nulla è esattamente ciò che sembra. Il mastering è stato affidato a James
Plotkin, storico collaboratore degli Isis e dei SunnO)))).
di Alfredo Cristallo