Il progetto Haria nasce a Venezia nel 2016 su iniziativa di Giovanni Conigliaro (voce, chitarra) e
Giuseppe Brunetti (chitarra): Dopo aver affrontato diversi cambi di formazione, il gruppo si assesta
in un quartetto con Luca Castellaro (batteria) e Dennis Ercole (basso).
Dopo vari concerti nel Veneto e un paio di anni anno passati ad affinare il loro sound e conseguentemente a registrare il loro primo lavoro, riescono infine a pubblicare il loro primo omonimo EP che esce per la Vrec il 29
marzo 2019. Sospinto dalla possente voce baritonale di Conigliaro, il sound degli Haria rimane
costantemente in bilico fra la psichedelia esistenziale ed annoiata dei Cure e un dream pop
surreale, onirico e cristallino capace di evocare atmosfere magiche ed ultraterrene. La musica non
segue un percorso lineare ma si limita ad intessere una brillante filigrana di suoni. La novità è che
questa musica si sviluppa non verticalmente (come nella struttura del rock classico) bensì in senso
orizzontale usando una struttura statica quasi contemplativa. La prassi ricorda quella del rock
psichedelico ma l’effetto è diverso: invece che espandere la mente o inoltrarsi in viaggi lisergici, la
musica suggerisce impenetrabili passaggi interiori privilegiando quindi l’infatuazione per
l’elemento magico e spirituale dell’esperienza umana. I brani sono quindi dei reperti lirici e
struggenti dove il canto sofferto e fatalista (un’azzeccata variazione del cantautorato italiano degli
ultimi 15-20 anni) viene costantemente contrappuntato dalle chitarre melodiche e cristalline a cui
l’uso del tremolo e del flanger aggiunge un tocco quasi raga scintillante e tremolante. I brani sono
in tutto quattro (per 17 minuti complessivi). Si parte con Sofi un lo-fi nostalgico e melodrammatico
che ripercorre l’odissea disperate degli Idaho per passare ai psych-pop di L’Autunno Di Helen che
fa leva su arrangiamenti raffinati e a quello più arioso di Il Futurista (uscito come singolo apripista
un mese prima della pubblicazione dell’EP. L’apice del lavoro è Illusione un’altro psych pop
autunnale a cui lo strimpellio raga delle chitarre conferisce un elemento di rarefazione sonora
cullata da onde cicliche fin quando quest’atmosfera evanescente non viene dinamitata dalle
scudisciate finali della chitarra memori della disperazione iperrealista di tutta la darkwave degli
anni Ottanta. La sfibrante corsa verso l’autodistruzione, la paranoia e la claustrofobia più
rassegnata viene trasfigurata dagli Haria in un nichilismo più umano e soprattutto universale.
L’album è stato registrato alla Velvet Recording e la produzione è della stessa Vrec.
di Alfredo Cristallo