CHIARADIA Primo Vere

Gianluca Chiaradia è un cantautore e chitarrista trevigiano (è nato nel 1991) che mescola folk e
cantautorato italiano forte di uno stile chitarristico che fa largo uso del fingerpicking. Ha studiato
con i migliori elementi della chitarra acustica moderna (Tony Mac Manus, Thomas Leeb, Steve
Kaufman, Kathy Chiavola, Chris Neumann). Nel 2013 in Slovenia vince il premio Migliore
Composizione presso l’International Music Workshop di Beppe Gambetta. L’anno successivo viene
selezionato per Musicultura 2014 e registra il suo primo disco intitolato Seriamente Ironico per la
Babao Dischi. Nel 2015 firma con la Bollettino Edizioni Musicali di Riccardo Vitanza (casa editrice di
Giovanni Allevi, Giulio Casale e Roberto Fabbri) e pubblica il suo secondo disco Sogni Al
Microscopio. In seguito apre i concerti di Omar Pedrini, Giulio Casale e Pierpaolo Capovilla e
collabora a un reading dello scrittore Francesco Vidotto. Nel 2018 conduce la trasmissione
radiofonica rock Direzione Obliqua su Radio Palazzo Carli e successivamente su Radio Veneto Uno.
Nel giugno dello stesso anno partecipa al FIM (Fiera Internazionale della Musica) di Milano. Nel
2019 viene selezionato e vince con il brano Ancora Spazio per Musicultura; con lo stesso brano
arriva fra i primi 4 finalisti per il premio Pierangelo Bertoli nella sezione Nuove Proposte. Dopo
essersi chiuso per comporre i suoi nuovi pezzi in una casa desolata e isolata (e senza l’energia
elettrica) il 17 Aprile 2020, in piena quarantena, esce il suo terzo disco Primo Vere per la
VREC/Audioglobe; ad accompagnarlo ci sono Luca Colussi (batteria), Andrea Ghion (basso), Enrico
Casarotto (chitarre) e Assuera De Vido (violino). Lo stile fingerpicking (cioè suonare pizzicando le
corde della chitarra senza usare il plettro) e una voce limpida e sicura che ricorda Leonard Cohen,
Bob Dylan e Nick Cave sono i protagonisti di questo disco che musicalmente si situa fra il lo fi
desolato dei Seam e la psichedelia ipnotica dei Meat Puppets. Queste scelte stilistiche sono la
piattaforma su cui si muovono una serie di odi alla marginalità sociale che si situano al confine con
le elegie più sommesse di Lou Reed. I salmi di Chiaradia propulsi da accordi lividi e da ritmi che
sono bubboni in attesa di esplodere incorrono in continue allucinazioni , soffocano in claustrofobie
timbriche, lambiscono depressioni suicide, precipitano in abissi di assoluta anemia. Il tetro rosario
si apre col desert rock di Anima Nera con echi acid-rock e assolo cosmico di chitarra, prosegue col
folk rock nostalgico di La Strada Di Casa e il folk rock appalachiano di Ancora Spazio (il singolo
apripista), s’impennano con i ritmi sincopati e le progressioni reggae di Canzoni Che Ci Salvano e A
Proposito Della Primavera (che è decisamente più pop). Il meglio viene alla fine con le storie
tragiche di George, un folk pop alla John Martyn, dedicato all’afroamericano George Stinney, il più
giovane condannato a morte della storia statunitense (una vecchia storia del 1944; aveva solo 14
anni, il processo durò solo un giorno e venne condannato da una giuria di soli bianchi), di Marta
una storia disperata di tossicodipendenza, resa sorprendentemente con una marcetta a ritmo di
ragtime e Rebibbia un folk-rock diradato tenuto in piedi dalle pulsazioni di basso e dagli accordi
lisergici alla Mazzy Star che racconta la storia di un ergastolano costretto confrontarsi col suicidio
del compagno di cella. Le composizioni di Chiaradia sono teorie esistenziali che vivono in un
nirvana di desolazione assoluta e inestinguibile sulla cresta di un arcobaleno scolorato; e la sua
musica chimerica rimane costantemente compressa fra gloom e doom, fra Neil Young e Nick
Drake, fino a svanire nel nulla come l’ombra di un fantasma all’arrivo dell’aurora. La copertina è di
David Bonato.

di Alfredo Cristallo

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