Nel 2017 i Campos, trio pisano composto da Simone Bettin (chitarra e voce), Davide Barbafiera
(tastiere) e l’australiana Dhari Vij (basso) avevano esordito con l’album Viva (per la casa
discografica Aloch) che costituiva un coraggioso esempio di folktronica italiana sulle orme dei Four
Tet. Un anno dopo con l’ingresso al basso di Tommaso Tanzini (al posto di Dhari Vij) il loro secondo
album Uomini, Vento e Piante era un’escursione nel folk cantautorale con forti venature indie
dove le parti digitali venivano compresse al ruolo dell’abbellimento di quelle che erano a tutti gli
effetti delle ballate tout court. Degno di nota era anche il passaggio all’uso dell’italiano che
sottolineava la scelta della band di privilegiare maggiormente un rapporto col loro mercato
principale di riferimento. A due anni di distanza esce per la Woodworm/Universal il loro terzo
album intitolato Latlong (ovvero latitudine e longitudine) che viene pubblicato il 27 novembre
2020. Il nuovo album costituisce una più decisa adesione a tematiche folk opportunamente
adeguate a ridefinire l’orizzonte sonoro del gruppo come qualcosa a metà fra il sogno e il flusso di
coscienza. Con una chitarra acustica sempre in primo piano, un uso delle tastiere e dell’elettronica
soffuso e minimale e un basso al limite dell’udibilità, i Campos tendono a costruire architetture
armoniche meditative ed elegiache che sembrano annullare nella malinconia esistenzialista
qualsiasi traccia di emotività indulgendo nella suggestione della solitudine di un’anima che parla
solo a sé stessa ossessionata solo della caducità di tutte le cose. Gli arrangiamenti assecondano
quest’esemplare ricerca autoanalitica con tecniche compositive che sfocano i confini fra folk, pop,
elettronica, prog-rock e avanguardia. Le loro canzoni compongono un diario intensamente
personale, segnate da un’umiltà spartana ma tutt’altro che amatoriale nobilitando quasi ogni
brano con un tocco stravagante che li eleva al di sopra del semplice folk rock chitarristico. I brani
manifesto dell’album sono l’iniziale Sonno (scelto anche come singolo apripista) e Mano due folk
digitali con tastiere progressive alla This Heat e ancora Ruggine dove le tastiere si librano in
progressioni trip hop e breakbeat. Segue un set di ballate tanto stranianti quanto arcane e
coraggiose inzeppate di esperimenti armonici fratturati: un prog-folk con intarsi di elettronica
minimale (Figlio Del Fiume), un folk cubista che ricorda le ardite sperimentazioni dei lavori solisti di
Mick Karn (Santa Cecilia, dedicata a all’omonima chiesa di Pisa), un folk digitale con escursioni di
vento elettronico alla Klaus Schulze (Blu), un folk rock elettronico con parti vocali gospel (Addio),
un folk canonico adornato con tastiere natalizie (Luna), un country digitale alla Wilco (Paradiso) e
per non farsi mancare nulla un astrattismo glitch infettato alternativamente da tocchi di
psichedelia degni dei Pink Floyd di Ummagumma e da tocchi di pop alla Sufjan Stevens(Dammi Un
Cuore). Non paghi di tanta abbondanza il gruppo ci regala anche la sognante miniatura elettronica
alla Eluvium di Arno (poco più di un minuto) e persino una ghost track Cane una pastiche che
mescola hardcore ed elettronica suonata con la stessa foga dei Black Flag. Le canzoni dei Campos
sono entità organiche che crescono e fioriscono nel momento in cui si sviluppano. Innumerevoli
sono i riferimenti artistici: il lo-fi- pop americano anni Novanta, il folk eretico britannico e italiano,
il kraut-rock eterodosso anni Settanta, l’indie folk americano anni Dieci, la folktronica tedesca fine
millennio. Il merito del gruppo è di aver preso qualcosa da una serie infinita di gruppi costruendo
un prodotto originalissimo che non assomiglia a nessuno di loro. La musica dei Campos è
crepuscolare e intimista, una musica si adagia in dolenti lamentazioni di fronte a un quotidiano che
stritola e alle occasioni perse forse per sempre ma che è anche capace di osservare situazioni
personali così infelici che sembrano esorcizzare le terribili emozioni che esse generano.
di Alfredo Cristallo