I Duocane sono un duo barese formato da Stefano Capozzo (basso e voce) già con i Banana Major
e da Giovanni Solazzo (batteria, percussioni) già con i Turangalila. Il gruppo si forma nel maggio del
2019 e il mese dopo pubblicano un primo EP di 6 brani intitolato Puzza Di Giovani da cui è tratto il
singolo Le Straordinarie Avventure di Giacomo Pentola). Le loro influenze spaziano dallo stoner al
noise rock (Colour Haze, Zeus !, Melvins, Teatro Degli Orrori) e dai rumori quotidiani e naturali
(pioggia, voci umane) o da esperienze personali (Giovanni è operatore sociale con i Migranti,
Stefano è un visual artist). Bloccati come molti altri artisti dalle restrizioni pandemiche lavorano a
un nuovo progetto scritto attraverso messaggi vocali su Whatsapp (70% per la musica, 100% per i
testi). Successivamente i due si riuniscono per registrare il nuovo lavoro durante l’arco di 3
settimane a cui seguono altre due settimane per il missaggio, il master e la post-produzione. Il
nuovo lavoro, un EP di 5 pezzi intitolato Sudditi (un gioco di parole tra sud, diti, sudditi e Sudo un
amico d’infanzia dei due artisti) esce il 30 Ottobre 2020.
Le difficoltà d’interazione umana causa COVID hanno portato i due musicisti a licenziare un prodotto che si muove su più piani intersecati. Se il loro ovvio modello di riferimento almeno per quanto riguarda il panorama italiano sono i Volfango e gli Splatterpink, il lato tecnico riprende abilmente le suggestioni del jazz rock sghembo,
geometrico e violento dei King Crimson del biennio 1973-75 (le linee di basso sono
straordinariamente simili a quelle di John Wetton) con incubi martellanti e deliqui disgregati sparsi
a piene mani. Il programma complessivo è invece decisamente più articolato. Nel fluire dei brani il
duo si abbandona a un parossismo sonoro pervaso da un’onda d’urto tellurica spaventosa e
traumatizzante. Il loro incedere è pantagruelico e apocalittico immersa in un crogiuolo di nebulose
ronzanti di psichedelia selvaggia e percussionismi tribali degni dei cerimoniali più occulti: una
barbarie brutale che interpreta l’efferata violenza psicologica della civiltà industriale. I brani sono
droni distorti e ritmi pesanti in cui il suono imponente amplifica a dismisura quelli che sono
normalmente istanti di musica (un riff, una distorsione, un riverbero) proponendo un’insolita
fusione fra hard-rock e musica ambientale con la differenza che qui l’onda sonora non è mai
rilassante ma è torva e opprimente quasi a voler trivellare la mente non ad espanderla (come
avveniva nelle prove più avantgarde della psichedelia). Ben 4 brani su 5 seguono queste direttive: i
boogie tempestosi fra clangori metallici di Martello e Peritonite, il jazz punk frastagliato alla
Minutemen di Memorie Dal Sottosuono, il salmo industriale avvolto in lugubri sortilegi di
Vilipendio che si tramuta in un improbabile progressive pop dalle cadenze panzer. Il loro post-rock
espressionista da camera si alleggerisce solo nel brano finale Buon Compleanno, Sudo un mix fra
folk, jazz e rock che ricorda le atmosfere oniriche trascendenti dei Dirty Three. A dominare il disco
è tuttavia il vocabolario biblico del peccato e della redenzione e lo scenario post-apocalittico di
un’umanità mostruosa segregata in mostruose catacombe o libera di vagare come tribù aliene in
un paesaggio di rovine fisiche e morali. Al confronto le metropoli in rovina dei film di Carpenter
sono paradisi terrestri. L’EP è completamente autoprodotto
di Alfredo Cristallo