Non parlo delle performance degli artisti che si sono esibiti.
Quelle sono addirittura passate in secondo piano.
Mi riferisco al contesto di un festival musicale votato ad una smania di ritorno ad una vecchia normalità che non esiste più, in un momento storico del genere.
Molti festival musicali in tutto il mondo sono stati annullati, con grosse perdite economiche e di immagine.
Non voglio dire che questa 71 esima edizione del Festival di Sanremo non si doveva fare, ma poteva assumere un taglio e un’impronta molto diversi. Più profondi. Senza diventare pesanti. Leggerezza. Invece c’è stata solo superficialità.
Una forzatura già cantare in un contesto simile senza pubblico. Una vuotezza penetrante. Riempita male.
Un silenzio che richiedeva rispetto, che urlava verità. Invece no. Un festival normale. Che voleva intrattenere e forse alleggerire, ma non ci è riuscito per nulla. Il tutto risultava fuori luogo. Fuori tempo. Asettico, distaccato. Scollegato dalla realtà, quella vera. Anche un po’ patetico per la verità.
Una stonatura che mette a disagio.
Eppure si poteva fare qualcosa di molto più vero. Al posto di questa farsa grottesca che muove il “sentimento del contrario”.
Poteva essere un festival che metteva in luce la situazione attuale (anzichè nasconderla dietro un velo asfittico) che la racconta e che fa raccontare agli artisti che si sono esibiti anche la loro posizione in questo anno così duro per questo settore. Parole leggere, profonde, giuste, non trabordanti, ma che comunicano e raccontano. Che potevano donare un’atmosfera ed una voce nuova e propositiva.
Non c’è nulla da celebrare in questo momento, se non il ringraziare di essere ancora qui.
Si doveva sacralizzare forse il silenzio e non la “scioccheria” irrisoria che è venuta fuori, in parecchi momenti.
Si fa finta che la pandemia non esista. Qui non si tratta più soltanto di cultura o ignoranza, ma prima di tutto di sensibilità.