Me ne stavo lì mollemente seduto in una poltrona di pelle grigia, insieme ai miei tre ospiti sconosciuti, oziavo come se apatico aspettassi qualcosa di ineluttabile.
La biblioteca di famiglia raccoglieva nelle sue alte mura, una considerevole collezione di libri senza titolo. Una serva dal camice nero e grembiule bianco, se ne stava in un angolo della sala volgendoci le spalle, quando uno degli ospiti, seduto su un grosso divano, ruppe il silenzio «Perché la serva è lì nell’angolo ferma? Non spolvera, come dovrebbe fare!» allorché risposi svogliato «Sì, dovrebbe spolverare… ma a questa serva ho ordinato di leggere un libro…» di nuovo cadde un silenzio polveroso su di noi, le teste ciondolavano, il respiro fiacco, qualcuno giocherellava con una tavoletta appoggiata sul bracciolo del divano.
La luce pallida arrivava sbieca da un finestrone nascosto da un drappo grigio.
Quando lentamente e a scatti, come una bambola caricata a molla, la serva si voltò, mostrando un volto corrugato dal dolore, le lacrime riempivano ogni solco di ruga, la bocca aperta cercava di emettere vocalizzi interrotti da singhiozzi violenti. Il libro le cadde pesantemente sulla moquette.
Un ospite disturbato dalla scena «E ora perché piange e gesticola così? Sembra presa dal fuoco!»
«Ecco…» dissi «il libro in questione tratta sulla fine del mondo, e glielo faccio leggere ogni sera.»
«Allora ordinagli di raccontarcelo!»
«Non può, perché è sordomuta…»
«Allora ordinagli di scriverlo!»
Il mio breve riso fu smorzato da un sospiro «Sì… potrebbe riscriverlo, ma vi ricordo che non siamo più in grado di leggere. Vedete, mio nonno accumulò così tanti libri per poterli conservare, affinché qualcuno degno, li potesse leggere e così dare la risposta che tanto ci tormenta. La fine del Mondo. Probabilmente in quel libro c’è la risposta che noi cerchiamo, la soluzione per la salvezza dell’umanità… ironia della sorte, solo i sordomuti sanno leggere e scrivere, ed io la condanno a leggere sempre quel libro dai grafemi bizzarri e raccapriccianti…»
Chi con il dito premeva sulla tavoletta lucida, osservò «Ma come fai a sapere che proprio quel libro tratta sulla fine del mondo?»
Volsi lo sguardo su i miei ospiti e poi sulla serva piegata dal pianto «Me lo disse mio nonno in punto di morte, lo teneva stretto tra i suoi artigli ossuti, queste erano esattamente le sue parole – Nipote! Vedi questo libro nero? È il Libro del Mondo, qui c’è scritto sulla vita e la morte degli umani, sull’inizio e la fine di tutte le cose conosciute… ogni risposta dei tuoi perché, qui c’è… – e poi tra i rantoli, mi sembrò di aver capito sull’unica possibilità di salvezza. Morì con la bava che gli colava dalla bocca, il dito dall’unghia contorta indicava una pagina verso la fine del libro.»
Calò nuovamente il silenzio, la serva raccolse il libro maledetto e ritornò nell’angolo a finire di leggere, e nel silenzio un ospite preso dalla smania di sapere, chiese sommesso «Ma quanto manca alla fine di tutto?». L’ultima luce solare s’insinuò tra i lembi del drappo per rischiarare la figura della serva mentre riponeva in una teca buia, quella speranza di salvezza. Con alcuni cenni della mia mano la invitai ad andarsene, e lei, come sempre, prima di commiatarsi, gesticolò col suo arto legnoso una lunga sequenza geometrica, come per dire – Addio –. Se ne andò chiudendo la porta. Nell’aria pesante, persistettero quei segni.
Gli ospiti sconosciuti sfumando andarono a ricollocarsi nelle loro nicchie. L’ultimo, che insistentemente premeva la mano sulla tavoletta, riprese la domanda «Allora! Quanto manca?»
«Eh!» esclamai «già al tempo di mio nonno, le persone si erano dimenticate i nomi delle dita della mano… e tu insisti a chiedermi – quanto manca alla fine di tutto? – ma prima che tu ritorni nel tuo involucro, ti risponderò con un’altra domanda… Quante dita pensi di avere?»
Neanche il tempo per udire la risposta, che la notte scostò i drappi e inghiottì tutta la stanza. Il buio lambì ogni cosa e riempì tutti i vuoti della mia testa. Ogni dubbio, le incertezze e le vane attese cessarono di colpo, sprofondai in un sonno cupo e sognai.