Qualche settimane fa un mio amico mi ha prestato un disco di uno sconosciuto gruppo pisano: Il gruppo si chiamava Ceke (l’origine del nome è oscura) e vi militavano altri miei amici, persone che conosco benissimo e non ho difficoltà a incontrare per le strade di Pisa. Il disco s’intitolava Redrum
(e qui l’origine è ovvia: è una citazione da Shining il capolavoro di Kubrik). Ho ascoltato il disco e ho scoperto che era bellissimo. Era uscito nel 2005. Possedeva tutte le caratteristiche che rendono un disco se non proprio immortale di certo degno di stare fra le migliori cose prodotte non solo in quel periodo ma anche dopo: forza evocativa, maestria tecnica, creatività superiore alla media, raffinatezza negli arrangiamenti. In più era totalmente strumentale. Non è facile trovare un disco
che ti stupisca e ti spinga a chiederti: ma come ho fatto a perdermeli, come mai non li conoscevo, ma questo disco avrebbe meritato maggiore fortuna, maggiori possibilità di essere ascoltato anche ora. Invece il disco ebbe poca fortuna, il gruppo si sciolse poco dopo averlo fatto e una validissima testimonianza di quei primi anni Dieci entrò in una nicchia della memoria (e degli scaffali). Forse proprio per questo ho deciso di scriverci su un articolo. Innanzitutto alcune informazioni sul gruppo e la sua storia. Il gruppo si forma nel 2001 con una prima line-up formata da tre amici di infanzia: Raffaello Mallegni (batteria), Francesco Rapalini (basso), Giulio Tosi (chitarra). Tutti e tre provenivano da gruppi punk e hardcore. All’inizio avevano anche un cantante (anzi ne hanno avuto due) ma i due non si inserirono nel nuovo progetto che era quello di creare un suono che non rinnegava il passato hardcore però lo sostituiva con un noise-rock (in pratica il percorso dei Sonic Youth iniziali), una musica che ricomponesse le scosse telluriche del punk in saggi espressivi sulla desolazione del paesaggio contemporaneo. Il gruppo decise quindi di continuare eliminando le parti vocali e partecipò nel 2002 ad Arezzo Wave riscuotendo un discreto successo. Nel 2003 Mallegni abbandona il gruppo e viene sostituito da Lorenzo Bartolini. Seguirono alcuni branin registrati alla Westlink da Ovi (cioè Alessandro Sportelli storico produttore e tecnico del suonon pisano) che vennero poi inseriti in una compilation di band emergenti dalla Wallace Records. Poin nel 2005 pubblicano l’album Redrum, completamente autoprodotto. Forti del nuovo disco partecipano di nuovo ad Arezzo Wave arrivando fino al contest finale nazionale. Redrum segna il definitivo abbandono del punk iniziale e l’adesione a tecniche compositive più lineari sempre
influenzate dal noise ma già con uno sguardo all’avanguardia. Di fatto i Ceke coniano una personale forma di post-rock che pesca dal punk, dal minimalismo (attraverso le iterazioni strumentali della chitarra), dal jazz-rock, dal funky (soprattutto grazie ai fraseggi e alle interazioni fra basso e chitarra), hard rock per creare un condensato di furia polemica e wit, un farnetico sonoro più analitico di ogni altro idioma punk lontano dall’uragano epilettico e reboante dell’hardcore. Lo svolgimento musicale e drammatico e le loro ricette strumentali sono originali, imprevedibili e quasi sempre suggestive. I loro brani sono strutture aperte, percosse da nevrosi subliminali, eccitate da scosse emotive intermittenti, dilaniate da angosce sotterranee, puntellate
da conflitti armonici. Di fatto la struttura della tipica canzone rock funge solo da impalcatura per creare brani che nella classicità e nella sperimentazione ricercano continuamente una perfezione formale. Da queste premesse nascono il post rock oscuro di Nodi con riverberi di chitarra falciati da un trillo di synth e quello più caotico e dissonante dei Delitti Della Rue Morgue, il voodobilly crampsiano di Elephant, il funky jazz con ritmiche rocciose di Stupro. Questi brani sono miraggi che prendono corpo in una fitta nebbia di rumore e diventano esibizioni spettacolari di noise rock
colmi di epos e disperazione. La ricerca di nuove soluzioni creative portano i Ceke a rispolverare stili più convenzionali ma sempre fondamentalmente inseriti in un formato sperimentale che ricorda gli esordi della new wave. E’ il caso della neopsichedelia tenebrosa della title-track che si evolve in un post-rock terrificante alla Bitch Magnet per poi ritornare alla neopsichedelia, del desert rock psichedelico di Zog, della ballata dark desolata alla Stan Ridgway di Coagulo ed è soprattutto il caso della ripresa di un hard-rock progressivo e fantasioso che rimugina e ridefinisce
il vecchio hardcore in forme più accessibili (Reddy Storto che imita i Mountain dopo essere partito da una citazione di Foxy Lady di Hendrix, la zeppeliniana Per Un Pugno con propulsioni funky alla Minutemen). La ghost track finale (e senza titolo) è il culmine di questa prassi: una ballata beatlesiana con cadenze marziali che esplodono in un finale apocalittico. Pur nella varietà delle soluzioni armoniche, nulla è casuale in questa musica e ogni accordo è calcolato per proseguire la logica del discorso e per garantire il massimo dell’efficacia. Il gruppo si sciolse poco dopo e i
membri presero strade diverse. Cosa sarebbero potuti diventare i Ceke se fossero sfuggiti all’indifferenza generale e avessero proseguito la loro avventura. Non lo sapremo mai e forse è meglio così. Redrum rimane un album cristallizzato nel tempo e nello spazio, una gemma oscura imprigionata nell’ambra e risplendente di luce propria e infine un monito per le generazioni musicali successive.
Devo ringraziare Daniele, Alexandra, Francesco e Anna per il loro aiuto e la loro gentilezza. Senza di loro questo articolo non avrebbe mai visto la luce.
di Alfredo Cristallo