BAZAAR Orange EP

Qualche settimana fa un mio amico mi segnala questo gruppo bolognese (che lui ha già ascoltato ben due vote) e mi invita a sentire il loro primo lavoro un EP di 5 brani (non più di 20 minuti di musica, nessuna canzone supera i 4 minuti). Lo trovo decisamente bello: un robusto lavoro di post-punk (e neo-post-punk) uscito il 16 settembre 2021. Forse non eccelso, in fondo è il loro primo prodotto ma sicuramente espressivo, altamente espressivo. Basta, ho deciso che meritava una
recensione.

Di loro non ho quasi notizie. So che sono di Bologna e sono in 4 (voce, basso, batteria
e chitarra). Posto che dal post punk traggono le idee-forza dello stile (aggressività, rabbia, desolazione, rifiuto dell’assetto sociale), i Bazaar scagliano proprio contro questo assetto i loro
sermoni con la violenza di agit-prop. Le loro canzoni sono assalti in piena regola densi di ritmi
malati, sciabolate chitarristiche, cori cannibaleschi immersi un’atmosfera da film horror che
forniscono una testimonianza allucinante della depressione psichica della metropoli emiliana. Le
loro sincopi metallurgiche servono soltanto a dipingere il panorama cupo e tetro della civiltà post
post-industriale: allucinazioni violente, cerimoniali perversi, danze metronomiche, distorsioni
lancinanti, vocalizzi ossessivi, armonie abrasive e nervine, mantra cadaverici, cadenze infernali. Ne
risulta un manuale di tribalismi orrifici di questa era (apparentemente) senza speranza. Questo
macabro rosario inizia con la sarabanda alla Suicide di Benefit, prosegue col neo post-punk alla
Fountaines DC di Design (che vanta anche un perfetto finale apocalittico), col boogie atonale alla
Gang Of Four di Whatever e col boogie marziale della title-track dilaniato da chitarre nevrotiche (e
con inconsueti stacchi melodici che vengono però subito immersi in un’atmosfera malata tanto
per non sbagliarsi troppo) e si conclude con Big Belly Monster un altro classico post-punk a passo
di pow wow. Il senso di vuoto e di distorsione della personalità emerge dal paesaggio
dell’underground bolognese fino ad assomigliare ad una rappresentazione della Wasteland di
Eliot. Con sole 5 frecce nella faretra, i Bazaar hanno steso un ponte ideale fra il post punk degli
anni Ottanta, quello degli anni Novanta per arrivare agli anni Venti del nuovo millennio. La
copertina di Sara Rinaldi che ritrae una ragazza che piscia per strada nella notte estiva in un
parcheggio da zona blu (forse si era nascosta dietro una macchina e quella era partita lasciandola
così senza riparo, oppure no, il suo atto è uno sberleffo, un sonoro macchissenefrega) vale quasi
quanto l’album.

Ringrazio Daniele ed Alexandra che mi hanno fatto conoscere questo gruppo e questo EP: senza la
loro collaborazione e la loro cortesia non avrei potuto scrivere questo articolo.

di Alfredo Cristallo

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