FRANCESCO GIOMI LFO

Francesco Giomi, fiorentino, nato nel 1963 è un compositore, performer e regista attivo da molti
anni nel campo della musica elettronica e dell’improvvisazione elettroacustica. Ha collaborato
strettamente con Luciano Berio e con altri importanti musicisti grazie al suo lavoro con il Centro di
Ricerca Musicale Tempo Reale di Firenze di cui è divenuto direttore nel 2008. Durante la sua
attività nel campo dell’elettronica ha collaborato con musicisti e performer come Uri Caine, Jim
Black, David Moss, Stefano Bollani, Elio Martusciello, Sonia Bergamasco e con coreografi come
Virgilio Sieni, Simona Bertozzi e Micha Van Hoecke. Autore di ben 80 pubblicazioni scientifico-
musicali. È soprattutto conosciuto come per le sue tre monografie L’Istante Zero (2000),
Introduzione Alla Musica Digitale (2008) e Musica Imprevedibile (2022) quest’ultimo considerato
un lavoro fondamentale sull’improvvisazione musicale collettiva. Ha spinto il Centro Reale verso
una ricerca sullo studio sull’elaborazione del suono dal vivo e sulle esperienze di interazione tra
suono e spazio e dal 2005 ha iniziato ad occuparsi di improvvisazione elettroacustica. Dal 2010 è
attivo con il suo progetto LFO. LFO è essenzialmente un codice di trasmissione inventato dallo
stesso Giomi per l’improvvisazione libera guidata di ensemble elettroacustici. Ispirandosi a grandi
improvvisatori e direttori d’orchestra come Bruno Maderna, Butch Morris ed Elio Martusciello ha
integrato una serie di schemi derivati dalla musica elettroacustica modulandola in percorsi creativi
completamente personali. Nei sintetizzatori, LFO è un dispositivo che serve a modulare il suono
conferendogli un andamento nel tempo, per cui il conductor ha la possibilità di attivare il suono
dei musicisti, cambiandolo o trasformandolo e guidando il discorso musicale in un percorso
totalmente estemporaneo. Dagli anni Novanta, forte di una lunga esperienza nella didattica della
musica elettronica, Giomi ha contribuito a creare scuole che hanno poi intrapreso un percorso
autonomo fino ad arrivare alla pluriennale docenza al Conservatorio di Musica di Bologna dove ha
contribuito a fondare gli attuali 5 profili formativi della galassia della musica elettronica. Il lavoro di
Giomi aderisce alla musica acusmatica o elettroacustica cioè l’insieme dei generi musicali che
fanno uso dell’elettricità nella concezione e nella realizzazione delle opere che risultano essere di
supporto in opere applicate (per teatro, danza, cinema, video). Il musicista parte quindi da
registrazioni sonore che possono essere acustiche se realizzate da diversi strumenti scelti per la
loro predisposizione a suonare, da universi abitati da eventi caratteristici, da percorsi, da gesti o
sequenze appositamente realizzate e anche da suoni figurativi o interventi su strumenti
tradizionali o esotici; se sintetiche sono registrazioni di suoni o sequenze elettroniche suonate sul
synth o digitali come risultato di programmazione dei computer o di trasformazione immediate di
eventi sonori. Il compositore classifica le registrazioni e opera su di essa delle scelte, una
ripartizione, dei tagli e quindi molteplici trasformazioni in studio attraverso l’uso di apparecchi
tecnologicamente avanzati (montaggio, inversione, anello, trasposizione, compressione,
campionamento, gel freeze, riverberazione, eco, ritardo, filtraggio, missaggio accumulazione). Il
programma di Giomi quindi converge nel campo della musica concreta dove i suoni registrati
vengono successivamente manipolati nei loro parametri (altezza, timbro, velocità) ed i nastri
vengono sezionati per essere scomposti e ricomposti al fine di riunire fra loro più suoni
contemporaneamente e una volta registrati i suoni ottenuti vengono perfezionati con l’uso di
apparecchiature stereofoniche. Il mezzo è l’album LFO pubblicato il 27 gennaio 2023 per la
Slowthrecords. L’album consta di 6 brani di diversa lunghezza. Il primo è LFO#1 (9 minuti) una
partitura astratta e dadaista per marimba, fiati e violoncello che si tramuta in un ibrido fra una
colonna sonora per film muto e una jam di free jazz. Segue LFO#11 In Space Part I che si apre con

una bruma rumoristica a cui seguono un ronzio di sottofondo con una voce che ripete una frase
(nuovi autovelox ecc.) come nel giochino adolescenziale del telefono senza fili, frasi ripetitive di
basso su fiati mediorientali che disegnano atmosfere minacciose per concludersi in un jazz free
form. LFO#11 In Space Part II è una jam elettronica per tromba e impulsi radio, seguita da suoni
casuali che si tramutano in una jam di percussioni africane e si concludono con una voce femminile
che descrive la preparazione di una parmigiana. LFO#11 In Space Part III sono rumori elettronici
che simulano l’attività di un alveare, seguiti da archi classicheggianti alla Popol Vuh su rumori
casuali che creano un’atmosfera da incubo per sciogliersi in un lied finale per voce ed archi.
LFO#11 In Space Part IV sono invece impulsi radio frammisti a rumori di fondo e coro spettrale che
si chiude in un jazz lounge. Le quattro parti di In Space durano insieme 45 minuti e sono il corpus
principale dell’opera. Si chiude con LFO#12 (18 minuti) la composizione più astratta di tutto
l’album (vocalizzi iniziali, frasi casuali, lied per archi e fiati, battito cupo di batteria e di nuovo
vocalizzi lisergici e voci casuali. Non vi è alcun dubbio che l’opera appartenga alla musica classica
d’avanguardia ma riesumando (forse involontariamente) anche frammenti d’avanguardia rock
dalla musica totale dei Soft Machine di Third e quella multimediale di Spaced, all’anarchia curiosa
e capricciosa dei primi lavori solisti di Robert Wyatt, dalle improvvisazioni lisergiche e free from dei
Grateful Dead a quelle ancora più astratte e volatili degli Henry Cow fino agli esperimenti più
audaci del post punk: la frammentazione austera e radicale degli Art Bears, il marasma cacofonico
dei Lemon Kittens, la sperimentazione surreale e schizoide dei Swell Maps, la musica aleatoria di
David Cunningham, il rumorismo orrifico, elettronico e atonale dei Throbbing Gristle. Al missaggio
c’è Mattia Loris Siboni, alla produzione Matteo Pastorello. L’artwork è di Cristian Li Voi.

di Alfredo Cristallo

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