GIRLS BITE DOGS Mudness Act 1 Walking West

Girls Bite Dogs (ovvero Le Ragazze Mordono I Cani, una variazione del più celebre dei titoli
distopici di giornale) è un progetto del polistrumentista Flavio Ferri (ex Delta V e già conosciuto ai
frequentatori di questa rubrica) e del videomaker Fabrizio Rossetti proprietario della casa di
produzione Girl In A Suitcase. I due che fanno base a Barcellona sono attivi dal 2016 e la loro
musica elettronica è perlopiù pensata come colonna sonora di film, documentari e progetti di arte
visuale. I due hanno esordito nel 2016 con l’album Greta Quit Ironing, 13 pezzi cantati da 13
cantanti diverse. Nel 2018 pubblicano il loro secondo album intitolato A Pilot Snake Can’t Really
Drive. Il loro terzo album Mudness Act 1 Walking West è la soundtrack del mockumentary (ovvero
un docufilm su un evento immaginario) ed esce per la Vrec il 27 Gennaio 2023. Assorbita la lezione
dei Tangerine Dream (cioè una musica cosmica che abbandona la dimensione terrena per lanciarsi
nell’infinito), il duo si lancia in mini-jam (solo 2 pezzi su 14 superano i 4 minuti) ambientali a cui
affidano ogni volta un’idea diversa di come generare ipnosi. Questa scelta stilistica che punta
spasmodicamente alla trance costruisce proteiformi arrangiamenti elettronici che di volta in volta
sposano insieme musica cosmica e world music (Sideral), musica cosmica e glitch (Vitriol, Cenizas,
Am I), musica cosmica e hard rock (Miss Disaster che ricorda gli Hawkwind più allucinati) oppure la
musica ambientale e la world music (il bordone classico di 19 X). Le loro sculture sonore d’altra
parte si affidano a una tela di nebulosi droni in slow motion ondeggianti su tastiere e chitarre
tremule e sfocate spesso accoppiate a spezzoni vocali di musica concreta come nei dischi di
Battiato della seconda metà degli anni Settanta (Fast Is The Sky, Bonjour, For Some Unknown
Reasons, Next Stop To The Wrong Place in forma di salmo). Le loro astratte e spaesate trenodie
assumono solo occasionalmente una forma ben definita come nell’ambient classico alla Philipp
Glass di Bailame, nel jazz deformato di Disorder, nell’etno- world alla Sinead O’Connor di Fraseo e
nella colonna sonora per film sci-fi di Fucking Happiness che è forse il pezzo che riassume meglio la
loro arte tanto titanica quanto subliminale. Tutto l’album suona astratto e introverso, la colonna
sonora di un disorientante flusso di coscienza joyciano, un triste mormorio stile requiem:
un’esperienza post-mistica. Il torpore allucinogeno di riverberi smussati, i loro minacciosi spezzoni
di nuvole elettroniche, le tenebrose parti vocali (che ricordano quelle dei Throbbing Gristle) sono
emblematiche del loro modo di concepire i brani come una deriva di musiche lontane, un’eco
confusa e deformata di una canzone cantata in un mondo post-apocalittico.

di Alfredo Cristallo

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