Dopo l’uscita di un album seminale come “Brilla”, fare una chiacchierata con Katarina Poklepovic non è più solo attività di routine legata ad una data solista dell’artista, ma pura esigenza! L’abbiamo intercettata a Pisa prima del suo dj set al Caracol ed ha accettato di buon grado di rispondere alle nostre domande.
Avevamo ancora impresso nella mente l’eco di “Kira” il loro formidabile esordio californiano datato 2016 in cui i due polistrumentisti, Katarina col sodale Michele Quadri (nell’arte e nella vita), ci trasportavano in una sorta di “patchanka” esulante da ogni confine: elementi di jazz, rock, soul, punk, new wave, funky, noise, hip-hop, ‘indie pop’, slam poetry, dub, e chi più ne ha più ne metta!
Si è parlato tanto di Post Gender nella musica Indie, ma ad orecchio di chi scrive sono etichette che, come sempre, lasciano il tempo che trovano. Quello che invece rimane è l’assoluta libertà artistica del duo ‘bolognese’. Non dobbiamo dimenticare che Michele e Katarina sono una coppia dal background molto variegato, in questo momento accumunati anche dal fatto di essere due giovani genitori con una bimba da crescere.
Nel nuovo album, il terzo, la visione del mondo dei So Beast è un flusso di coscienza permanente in quattro lingue (inglese, italiano, croato e perfino tedesco) declinato in salsa house: art rock/synth pop, electro/dance, rap/trap, reggae/daantho. Katarina e Michele non cessano di sperimentare, non solo grazie alla contaminazione di generi diversi, ma anche con ripetuti richiami ad artisti non necessariamente eterogenei appartenenti a generazioni e universi che potrebbero apparire in antitesi, ma così non è. Si passa senza soluzione di continuità da reminiscenze punk all’ethno-groove, dalla Detroit techno alla Chicago house, dal West coast-funk in salsa teutonica fino a delicate aperture melodiche. Un tritacarne che va dal Krautrock agli Os Mutantes, dagli Aviador Dro della movida madrileña a Kid Loco, al Mirwais pre Madonna, fino ad esperienze barricadere come i cechi Plastic People of the Universe o i nipponici Les Rallizes Dénudés.
Nel tuo percorso artistico si passa da Šostakovič ai Sonic Youth alla scena techno di Detroit, il tutto condito da un velato retrogusto mitteleuropeo, cos’è che ha influenzato maggiormente la stesura di Brilla, il nuovo album dei So Beast e soprattutto cos’è che deve brillare?
Brilla in sé è un’evocazione: “Hey, tu! Brilla, nonostante tutto”. L’album è nato in un momento di euforia post pandemica e pone al centro il concetto di come una persona consapevole possa riuscire a essere centrata e ottimista nonostante tutto l’orrore che accade nel mondo. C’è anche un riferimento al sole, il surriscaldamento globale.
Michael Fassbender nel nuovo film di Fincher afferma che per fottere il sistema bisogna evitare di essere visti – impossibile nel XXI° secolo – quindi almeno evitare di farsi ricordare, qual è il senso invece del ‘Fuck the system’ all’inizio del pezzo “Adattabilità”? Qual è il sistema da fottere?
Non è fottere il sistema. Si intende non fottersi del sistema. A livello politico come ideologia provengo da un background tendenzialmente anarchico quindi anarchismo per me è una questione del tutto personale che ha a che fare con la coscienza. Si parte sempre da se stessi. Non si può sviluppare una coscienza collettiva senza aver prima svolto un profondo lavoro di ricerca su se stessi.
Il code-mixing e il code-switching in alcuni tuoi pezzi, pensiamo al rappato in tedesco, mi ha ricordato gli esperimenti di stream of consciousness di alcuni album di Faust’O negli anni 80, per esempio la frase ‘Il tuo disegno nel cuore wlld / fear of the fucking future’. Nella tua musica spesso incombe la presenza di una minaccia velata, qual è questa paura del futuro?
È l‘ansia (sorride). Essenzialmente l’ansia che parte da una neurodivergenza personale. Il tuo disegno nel cuore wild si riferisce anche al fatto che noi abbiamo una figlia. C’è molta anche di questa ansia genitoriale in effetti.
Un’ultima domanda: ho notato che dall’album precedente è cambiato anche il tuo modo di utilizzare la voce. Alcuni pezzi del passato come “Street Selector” mi sembrano molto vicini alla sperimentazione degli Art Fleury di New Performer – in particolare proprio la voce di Francesca Albini – cos’è cambiato nel frattempo per arrivare al palazzo del Kreuzberg dell’high without drugs? Si tratta di una dichiarazione di intenti o di una provocazione?
Il brano è stato scritto nel periodo in cui giravamo a Berlino che è una città dove abbiamo molti amici e chi ci fornisce molte influenze. È molto semplice: mi riflette totalmente. Non mi drogo, ma mi sento sempre alterata in qualche sorta (ride). È anche un’immagine importante.
A questo punto ti chiedo un’ultima cosa: mi sembra che il nuovo album tocchi temi più collettivi mentre il precedente era più focalizzato su una dimensione personale, più intima. Penso a un brano come “Mekano” e il suo intercalare, my confusion, Internet confusion, family confusion, Facebook confusion…
È esatto. Hai centrato il punto. In un certo senso si passa da una dimensione individuale a una più collettiva. Quel disco s’intitola “Fit Unformal” che sottintende il senso di contenersi dentro una non forma. È più personale.
Mentre il pubblico comincia alla spicciolata ad affluire nel locale, appurato che Katarina è tutt’altro che una ‘valise dénudée’ – nel gergo universitario di Kyoto del buon Takashi Mizutani, ma non avevamo dubbi – la lasciamo prepararsi al suo dj set.
il gruppo sta per iniziare un tour europeo che li porterà a dicembre nell’amata Berlino e a Praga, oltre a festeggiare Capodanno il 31/12 a La-Chaux-De-Fond.
WALTER TASSAU