THOMAS FRANK HOPPER Paradize City

Thomas Frank Hopper (il vero nome è Thomas Veerbrugen) è un cantante e chitarrista belga di
Bruges. Ha vissuto fino a 17 anni in Africa col padre nei paesi di lingua inglese ed è cresciuto
ascoltando i gruppi degli anni Settanta sui dischi del padre (Pink Floyd, Supertramps, Genesis, Led
Zeppelin). Tornato in Belgio forma il gruppo punk Cheeky Jack con altri cinque ragazzi. Nel 2018
inizia la sua carriera solista. Durante un viaggio a piedi in Gran Bretagna, incontra in Galles una
famiglia di liutai. Da loro compra una chitarra Weissenborn (un tipo di chitarra lapsteel). Dopo un
periodo trascorso ad imparare come suonare questo strumento (leggermente atipico per i
chitarristi medi), entra in studio per registrare il suo primo album Bloodstone che esce in Belgio nel
2021 e in Italia nel settembre del 2022per la Vrec Music Label. Innamorato del blues e dell’hard
rock degli anni Settanta, armato della sua fida chitarra lapsteel (che diventa il suo marchio di
fabbrica), amante dei suoni puliti (non usa mai l’autotune) e dotato di una voce che lo fa
somigliare leggermente a Robert Plant (gli manca la sfrontatezza però) decide di dare un seguito al
suo primo LP e il 20 gennaio 2024 (ma in Belgio è uscito a fine 2023) pubblica sempre per la Vrec il
suo secondo album Paradize City. Il nuovo LP ripresenta i caposaldi e il background musicale del
musicista già apparsi nel primo LP: un repertorio spettacolare al confine tra hard rock, blues e
psichedelia che ripesca il twang boogie di Elmore James, il compassato puntillismo di BB King, i riff
nevrotici di Chuck Berry, la tecnica selvaggia e travolgente di Rory Gallagher e i glissando sensuali
di Jimi Hendrix. In più l’introduzione dell’organo Hammond (suonato da Maxime Siroul) dà ad
Hopper l’opportunità di esibirsi in caroselli fulminei e lancinanti alla Deep Purple (Troublemaker,
Chimera, l’hard blues a passo di pow wow di A Song For The Devil) come nei tipici hard-prog alla
Uriah Heep (il garage rock carico di tensione della title-track, la finale Boundless che ruba il
ritornello a Stealin’). Una line-up completata da Diego Higueras (chitarra), Nicolas Scalliet
(batteria) e Jacob Miller (basso), dà inoltre ad Hopper la possibilità di spaziare disinvoltamente in
un lambiccato e trascinante intreccio di riff graffianti, ritornelli orecchiabili, distorsioni acute e
suoni psichedelici che possono prendere la forma di classici hard blues (Crossroads, April Fool alla
Led Zeppelin con armonica supersonica e battito tribale) o materializzarsi in variazioni sul tema
come il desert rock alla Giant Sand di A Dog In An Alley (con coro di pirati e andamento
sonnolento), il blues catalettico di Back To The Wild con crescendo da brividi spingendosi fino al
mix fra funky e hard rock di Tribe con assoli infuocati di organo e chitarra.

Con soli 36 minuti di musica, Hopper rinnova i fasti di quell’hard blues che fece la fortuna e la gloria dei Cream, di Eric Clapton (da cui Hopper ripesca la pulizia formale) e dei Led Zeppelin e che oggi ispira in Italia
musicisti meno conosciuti come Ros Gos e One Horse Band ma che (ahinoi) nell’era odierna della
trap sembra quasi sacrilego.

di Alfredo Cristallo

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