JOANNA GEMMA AUGURI Hiraeth

 

Nonostante il suo nome Joanna Gemma Auguri non è italiana. Nasce in Polonia da cui fugge nel
1981, all’età di 5 anni insieme alla famiglia dopo il colpo di stato del generale Jaruzelski e la
minaccia di un’invasione sovietica intesa a stroncare il movimento di Solidarnosc. La metà era
Parigi ma la famiglia si ferma a Gottingen in Germania dove Joanna frequenta le scuole prima di
trasferirsi, raggiunta la maggiore età prima ad Hannover e poi ad Amburgo. Inizia per lei un
periodo folle e felice, durante il quale studia recitazione a Berlino focalizzando i suoi interessi sul
teatro di Brecht. Invece di diventare attrice, però scopre il suo vero interesse e diventa musicista e
soprattutto una valente cantautrice. Nel 2008 viene invitata a uno strano concorso a Londra
intitolato La Musica Più Triste Del Mondo, dove ogni partecipante doveva portare sul palco una
canzone tristissima. A Joanna l’idea piacque così tanto da portare il progetto a Berlino
promuovendolo regolarmente al Rote Salon che aveva sede nel famigerato Volksbuhne, un teatro
dedito alla sperimentazione capace di conciliare pretese elitarie con mezzi espressivi ed efficaci
sulle masse nonostante il suo stile provocatorio e paradossale. Nello stesso periodo milita in
diversi gruppi, va in tournée e lavora come direttrice del programma Bar 25 un vivace ritrovo
techno. Con l’arrivo della pandemia, Joanna decide di concentrarsi sulla musica e armata di una
fisarmonica e di una cetra registra e produce il suo primo album 11 (che esce nel 2021) e fonda la
sua etichetta Lavender Music. Intenzionata a continuare a comporre un album incentrato sulla
diversificazione dei suoni e degli strumenti, Joanna inizia a lavorare con Ingo Krauss direttore per
un decennio degli storici Conny Plank Studios e poi dei Candy Bomber Studios a Tempelhof. Krauss
ha lasciato mani libere a Joanna per tutto ciò che riguardava produzione composizione e scelta dei
musicisti. Le registrazioni sono avvenute nel 2023 avvalendosi di un ensemble che comprendeva
batteria, contrabbasso, chitarra slide, organo, synth, fiati, violoncello e un coro. Il risultato è
Hiraeth, parola gallese che significa nostalgia e desiderio ed è la base di un progetto che porta in
primo piano il lato vulnerabile dell’animo umano, i desideri che non si avvereranno mai e i luoghi
che non raggiungeremo mai. L’album viene pubblicato il 28 Giugno 2024 per la Duchess Box
Records. Musicalmente le composizioni di Joanna sono lied spettrali, minimalisti con percussioni
tenebrose atte a dettare il passo, mentre il resto degli strumenti si occupa di creare atmosfere
austere, monastiche, evocative creando una sensazione di magica perdita, tenero languore e
infinita nostalgia. Il cantato (che deve molto alle sperimentazioni di Meredith Monk) affrescano
paesaggi interiori irreali fatti di luce grigia, aria, visioni ineffabili, ombre senza nome che le parti
musicali rendono tenui, labili, anemiche, diffratte e deformate da echi sinistri come in un labirinto
di specchi dove le parti vocali di Joanna si aggirano come fantasmi senza pace nei dedali di una
mente devastata alla ricerca di un senso compiuto, di una luce in fondo al tunnel a metà fra
melodramma e psicodramma ma in realtà quasi senza inflessioni emotive che denotino anche una
flebile speranza. Queste composizioni sospese fra espressionismo, new-age e estasi psichedeliche
trovano fondamentalmente tre-quattro vie di risoluzione. La prima è il lied (la desolata Little Bird
per piano e voce con inserti di elettronica da incubo e oboe finale a simulare gli ultimi momenti di
vita, l’impalpabile Alone, la ninnananna per coro di morti di Circles sospesa su un unico accordo
sottolineato da un violoncello) o la sua declinazione più funerea del requiem (Last Dance avvolta in
cori ecclesiastici, il sussurro funebre da tragedia greca di Faith Lost). La seconda è il pattern più
vicino alle forme classiche della musica occidentale incluse quelle accostabili al rock (il canone
settecentesco per archi, voce e coro di morti di All You Can Eat, lo swamp blues alla Gun Club di
Break Out che si snoda come un tetro rosario, il jazz lounge di What We Call Love sussurrato comein un sortilegio)..

La terza/quarta via è quella in cui l’infinito dolore immanente si tramuta in estasi
psichedelica (il blues lisergico di Isle Of Longing alla Mazzy Star, Your Dark Colours con intro a
cappella). Meditativa e fondata su un’esperienza essenzialmente personale e introspettiva la
musica di Joanna sembra cantare sotto il peso di un trauma terribile nella solitudine più terribile; è
quasi la controparte femminile di Peter Hammill ma recuperando anche le esperienze più
contemporanee di Melanie De Blasio o Daniela Pes. Le sue canzoni evocano un mondo deserto
dove le speranze sono ridotte al lumicino e lo stato d’animo prevalente può essere solo
un’angoscia incurabile o un fatalismo latente e perenne.

di Alfredo Cristallo

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