Andrea Cerri con la sua compagnia “Gli Scarti” sono protagonisti assoluti della scena culturale spezzina, promuovendo sia al Teatro degli Impavidi di Sarzana sia al Dialma Ruggiero alla Spezia, una programmazione di qualità da far invidia a piazze decisamente molto più grandi.
La stagione di prosa al Teatro degli Impavidi di Sarzana ha ospitato venerdì 21 e sabato 22 febbraio “Cinema Cielo” di Danio Manfredini, grande maestro del teatro contemporaneo, che ha creato uno spettacolo straordinario.
In Italia non si può più fare un cazzo. O fai markette o fai il delinquente. O fai truffa o giochi con i sentimenti degli altri.
“Cinema Cielo”, lo spettacolo di Danio Manfredini che appunto in questi giorni viene riproposto dopo dieci anni in un nuovo tour italiano, si può anche sintetizzare con questa frase pronunciata improvvisamente da uno dei protagonisti. Sembra tanto un luogo comune, ma sintetizza invece un ‘sentiment comune’, comune a un sentore ormai diffuso in vari strati della popolazione.
Danio Manfredini offre al pubblico un’esperienza unica e poetica. Il testo s’ispira profondamente al romanzo d’esordio di Jean Genet, “Notre Dame des Fleurs” scritto durante il suo periodo in carcere a Parigi. Genet è un autore universalmente noto per la sua capacità di saper trasformare il dolore dell’esistenza in bellezza attraverso la scrittura. Ne viene fuori un capolavoro che combina la poesia di Genet con la sensibilità teatrale di Manfredini, offrendo uno spettacolo che è sia un viaggio nel passato sia una riflessione profonda sull’umanità contemporanea.
La storia segue le vicende di Louis, detto Divine, un personaggio centrale in un mondo di omosessuali ai margini della società, dove passioni mortifere e violenza si intrecciano; un testo emblematico nella drammaturgia del Novecento. Genet in quest’opera esplora la connessione tra il potere, il desiderio e la perversione attraverso la rappresentazione di una casa di tolleranza, dove le donne impersonano figure di potere e seduzione. Le tematiche trattate da Genet, la trasgressione, la fragilità̀ umana, la maschera e l’identità̀, sono riadattate nel contesto del teatro di Manfredini. Manfredini, con una scenografia iconica e parodistica, trasforma questo universo carcerario e claustrofobico in una partitura sonora evocativa, intrecciandolo con la realtà dei frequentatori del “Cinema Cielo”, una sala cinematografica a luci rosse di Milano ora chiusa.
“Cinema Cielo”, già vincitore del Premio Ubu per la miglior regia nel 2004,.si presenta come una reinterpretazione contemporanea e una rilettura del teatro di Genet attraverso la sua sensibilità̀ artistica. Manfredini, interprete e autore di se stesso, mescola il linguaggio visivo con quello verbale, creando un ambiente onirico e surrealista. Lo spettacolo si impone come una riflessione sullo squilibrio psicologico, sul sogno e sulla disperazione, temi che sono stati trattati da Genet con una forza lirica e destabilizzante.
L’approccio di Manfredini, comunque, non si limita a una mera riproposizione delle tematiche genettiane, ma si sforza di tradurre il mondo dell’autore francese in un linguaggio teatrale viscerale. Il corpo diventa un veicolo per esplorare la psiche del personaggio, e la sua fisicità̀ è utilizzata come uno strumento di espressione per raccontare il conflitto interiore, ma anche per porre domande sul nostro rapporto con la società̀ e le sue convenzioni.
Danio Manfredini è noto per la sua postura rigorosa e la sua capacità di esplorare le luci e le ombre dell’interiorità umana. Il suo stile teatrale è caratterizzato da un approccio poetico e lirico, dove le parole non servono solo a mandare avanti l’azione, ma hanno un valore emotivo e simbolico. “Cinema Cielo” è un esempio di come Manfredini utilizzi il teatro per evocare mondi marginali e periferici, accogliendo la diversità e l’umanità in tutte le sue forme e il corpo si propone come strumento di esplorazione e visione. Questo espediente di spingere il corpo umano al centro della scena come un veicolo di sofferenza, desiderio, e lotta con l’esistenza. sfrutta un linguaggio teatrale che incide sulla percezione dello spettatore, esplorando i confini fra il visibile e l’invisibile, tra la realtà̀ e il sogno.
La riflessione sulla fisicità̀ e sulla percezione del corpo scenico è un elemento comune anche ad altri autori contemporanei che si muovono all’interno del panorama teatrale italiano a cui Manfredini è spesso accostato. Basti pensare ad Antonio Latella e a Marco Rezza, due figure che, sebbene stilisticamente molto diverse da Manfredini, condividono un certo tipo di approccio radicale al teatro: la volontà̀ di scardinare le convenzioni teatrali e di spingere lo spettatore fuori dalla propria zona di comfort. Entrambi sono caratterizzati da un uso espressivo della fisicità̀ e da una visionarietà̀ drammatica, ma mentre Latella e Rezza tendono a utilizzare il teatro come strumento di critica sociale e politica, Manfredini si focalizza più sulla dimensione emotiva e interiore dell’esperienza umana. Il suo è un teatro più intimo e poetico che esplora le profondità dell’animo umano attraverso un linguaggio visivo e sonoro unico. Manfredini flirta molto di più̀ con il surrealismo e l’umorismo fisico sembra partire da una dimensione ancora più̀ introspettiva, astratta e carnale, dove il corpo ha un ruolo centrale anche in termini di distorsioni e interpretazioni non convenzionali.
La drammaturgia fisica di Manfredini affonda le sue radici nel surrealismo e nella carne del teatro. Il suo intento è creare uno spazio teatrale che non sia solo una rappresentazione, ma una visione destabilizzante, dove il pubblico è chiamato a confrontarsi con se stesso in modo profondo e inquietante. In questo gioco di rimandi e influenze, “Cinema Cielo” si inserisce come una delle sperimentazioni più̀ audaci e intriganti della scena teatrale italiana contemporanea, dando voce a un linguaggio che sfida la razionalità̀ per entrare direttamente nella dimensione del corpo e dell’inconscio. Straordinari anche i suoi sodali sul palco, Patrizia Airoldi, Giuseppe Del Prete e Vincenzo Semeraro.
WALTER TASSAU