Ci sono voluti 7 anni per ché gli Entrofobesse dessero un seguito al loro album di esordio Behind My Spike ma direi che ne è valsa la pena. Gli Entrofobesse sono una band siciliana, provengono da Niscemi (provincia di Caltanisetta) e il loro primo LP citato in apertura è uscito per la Wild Love ed è stato pubblicato solo in formato vinile. Nello stesso anno hanno partecipato alla compilation Clowns And Jugglers – A Tribute To Syd Barrett accanto a gruppi come Moltheni, Jennifer Gentle, Filippo Gatti, Super Elastic Bubble. Dopo un periodo di pausa e un cambio della line-up, il gruppo registra nel 2015 con Carlo Natoli (che insieme al bluesman Stefano Meli è anche ospite dell’album) il nuovo LP Sounds Of A Past Generation che si connota dal punto di vista dei testi come un album meno rabbioso del precedente ma maggiormente carico di una diffusa coscienza ambientalista. Il sound è invece un’estensione del noise rock che connotava l’album d’esordio.
Questa volta il gruppo ha infatti deciso di puntare verso un maestoso rock psichedelico che si ispira a quello degli anni Sessanta ma assorbendo anche istanze e suggestioni dello space-rock degli anni Settanta, della neopsichedelia degli anni Ottanta e dello stoner rock degli anni Novanta porta il genere e il valore compositivo del gruppo ad una più alta dimensione. Energici e disperati, i loro cupi psicodrammi sfogliano le pagine consunte dello spleen adolescenziale, senza disdegnare i toni apocalittici degli Iron Butterfly, le trenodie ipnotiche dei Velvet Underground e dei Gun Club e le forsennate jam cosmiche degli Hawkwind. Di fatto a dominare sono le jam grondanti psichedelia epica come l’iniziale It’s A Good Day To Die (lunga più di 8 minuti), la cavalcata negli inferi di Promise Land, le tonalità western-rock di Big Sky con organo acido alla Died Pretty oppure le loro variazioni più spaziali di Human Condition e della conclusiva Suzanne Silver. Le alternative a questo paradigma sono date dai pezzi più hard come il boogie cadenzato della title-track, l’hard rock fumigante di Big Black Heart e l’heavy metal con sinistre sventagliate di organo di Black Empire che si conclude con uno spettacolare duello di chitarre sferraglianti.
Ancora meglio Revolution Day, un blues infuocato su battito tribale che lambisce persino i raga del periodo flower-power. L’arazzo di droni, riverberi, distorsioni e ripetizioni collega e amalgama il tono generale dei brani aumentandone il coefficiente messianico e melodrammatico e alzando la tensione e il senso di sacralità complessiva dell’opera. Chiaramente abbiamo già sentito tutte queste cose ma sentirle messe tutte assieme fa sempre indubbiamente piacere. Senza contare che il gruppo interpreta questo programma con mano sicura e indubbia maestria tecnica. L’album è stato pubblicato dalla Seltz Records/Viceversa Records/Audioglobe. La copertina dell'album, davvero bella e interessante è un'opera del pittore Paolo Stefanelli intitolata Agonismo dell’assemblaggio Umano n. 1
di Alfredo Cristallo