STEFANO MELI No Human Dream

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Stefano Meli è un fantastico chitarrista siciliano (è nato a Ragusa nel 1973) che si muove fra blues e folk. Amante della chitarra acustica e della tecnica del fingerpicking, specializzatosi nell’uso sopraffino dello slide e del delay, Stefano Meli è attivo fin dal 1999 quando pubblicò con la band La Casbah l’omonimo album (1999) ed Eliogabalo (2001). Successivamente con la band Caruana Mundi pubblica altri due album, Il Cucitore di Tende (2012) e Angeli, Dannati E Anime Sospese (2014). Contemporaneamente avvia un’interessante carriera solista licenziando in successione Eight Instrumental Dusty Tracks From Nowhere (2010), Santo Bandito (2012), L’Ora Di Spampinato, colonna sonora dell’omonimo docu-film di Vincenzo Cascone e Danilo Schinini (2012),Psychedelic Indiana Blues (2014) e Ghost Train (2015). Ha anche sonnorizzato due cortometraggi di Guglielmo Manenti, Anime e Slow Way. No Human Dream è quindi il sesto album uscito nell’aprile 2017. Registrato in presa diretta , scritto interamente da Meli, No Human Dream è la continuazione ideale dell’album precedente e del suo programma sonoro di folk e blues impregnato di umori desertici e di divagazioni drammatiche che ridisegnano le rotte del roots rock moderno conteso fra la generazione romantica e filologica di Duane Eddy e Bob Dylan e il modernismo nichilista dei Palace Brothers. Sono almeno tre le chiavi di lettura di questo meraviglioso album. Innanzitutto c’è la componente tecnica che fa di questo LP quasi interamente strumentale un piccolo gioiellino di tecnica del fingerpicking applicata al folk e al blues e costruita su un frenetico strimpellio e su rimodellazioni continue della tecnica del contrappunto, dei rapidi cambi di tempo e della tecnica dei crescendo alternata con le pause, il tutto suonato costantemente in sordina e con un tono austero e sfocato: lo aiutano in questa operazione i Gentless3 (Carlo Natoli al basso, Sergio Occhipinti anche lui al basso e alle spoken words, Sebastiano Cataudo alla batteria) a cui si aggiunge la violinista spagnola Anna Galba che impreziosisce con i suoi archi ipnotici, i borbogli  epici di Tree e di Kee. Il secondo piano sta nella meditata scelta di stile che spinge Meli e compagni a piegare e spingere il suo folk blues verso partiture intricate e complesse che toccano ora il lo-fi nostalgico di Chris Isaak e quello alienato degli Idaho (Rain, nobilitato da un superbo assolo di armonica finale), ora un mix fra lo-fi, acid rock e scala raga (Noose, Desert infittito di strimpellii psichedelici ed echi finali di swamp blues), ora più lineari desert blues come Sonomia (con intro new age) e la spettrale cavalcata notturna della title track memore delle colonne sonore di Morricone (e con declamazione di parti della Terra Desolata di T. S. Eliot). Il terzo piano di lettura è quello meditativo. Meli difatti tende a creare attraverso la sua musica un insieme di emozioni sminuite, di arcobaleni scolorati, di flussi di coscienza in cui le note musicali sembrano dilatarsi e allungarsi, quasi come se andassero alla deriva trascinati dalla corrente dei ricordi e dei sogni. Perseguendo questo scopo l’arte di Meli si addentra audacemente nei territori new age, conscio di come le melodie in quanto capaci di catturare le emozioni tramite i suoni, riescano a descrivere in maniera semplice e diretta i sentimenti più complessi: una prassi esposta nell’iniziale Petra e nelle due finali Stella e After Midnight spettrali e sideree al limite della trance cosmica. In tutto l’album Meli distilla una mole sterminata di idee: ogni brano è un mosaico di monologhi strumentali mai petulanti, retorici o marziali (al massimo epici o elegiaci) e sempre cristallini e delicati. Le chitarre usate sono due vetuste quanto gloriose Silvertone Kay del 1959 e una Harmony Stella del 1960. La produzione è dello stesso Meli e della Seltz Recordz.

di Alfredo Cristallo

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