Questa è la seconda incursione in un disco del passato prossimo. Il gruppo scelto questa volta sono i Fooots (con tre “o”) provenienti da Pistoia e il loro primo full lenght album This Is Not The Exit uscito nel novembre del 2016. Il gruppo si è formato praticamente sui banchi di scuola e dopo alterne formazioni pervengono all’attuale formazione che comprende Alessandro Camiciottoli (voce, tastiere), Marco Valdiserri (chitarra), Luigi Aprigliano (chitarra) e Michele Galardini (batteria). Dopo qualche anno riescono a pubblicare il primo singolo Jungle (2013) che li porta al Palageox di Padova. Nel 2015 vincono il contest obiettivo Bluesin e si esibiscono alla 35° edizione del Pistoia Blues festival. This Is Not The Exit, pubblicato dalla Vrec è un classico album fra heavy blues e hard rock che riprende e documenta gli stilemi classici del genere così come si sono cristallizzati fra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta.
Non casualmente il sound del gruppo si ispira al blues sincopato e viscerale dei Free (complici anche il suono maschio ed abrasivo delle chitarre) e all’hard rock formale dei Deep Purple elementare e incalzante, poderoso e ultrasonico. I brani del gruppo si muovono fra queste due colonne pescando a piene mani dalla tradizione dell’hard blues (The Fall) e dalle trasformazioni infinite del classico hard rock avvenute negli anni Settanta. Abbiamo così il maschio heavy boogie alla Lynyrd Skynyrd di Psycho (uno dei due singoli d’anteprima), gli hard rock lancinanti di Jungle e Beautiful Overdose, quelli più ispirati alla lascivia e alla veemenza tipica dei New York Dolls (Jack Shame e These Order), mentre You Lie col suo tono
cadenzato e melodrammatico ricorda maggiormente le incursioni progressive tipiche degli Status Quo e le trenodie ricche di pathos degli Uriah Heep del periodo aureo. Questo per i primi 2/3 dell’album (diciamo i primi 7 pezzi). Nella seconda parte, la band arrischia qualcosa di più maturo e più interessante nelle suggestive e rilassate blues ballads da saloon di Wrong Time For The Lovers e soprattutto di Black Depths (che è stato l’altro singolo apripista)anche più notturna e morbosa con una solenne ed epica coda chitarristica che ne fa la vera perla dell’album. La title track finale è invece un tagliente rock blues che rincorre il piglio proletario dei Grand Funk Railroad e la psichedelia mascherata dei Led Zeppelin e degli Humble Pie. Complessivamente l’album è onesto e ben suonato con due/tre pezzi che detonano veramente e altri due che danno piena dimostrazione di una raggiunta capacità tecnica. Ma sarà meglio aspettare la prossima prova per dare un giudizio più sicuro.
di Alfredo Cristallo