DIARIO DI UN'ETERNA BAMBINA – CAPITOLO TERZO

Wow, sono super carica! Anche se domani inizia una nuova, interminabile e noiosa settimana scolastica, posso ritenermi soddisfatta del week end trascorso insieme agli amici. Adesso ti rendo partecipe, diario mio, di come ho trascorso il sabato sera e cercherò di imprimere sulle tue pagine i ricordi di questa bellissima serata, cosicchè possano rimanere indelebili anche sulla carta e non solo nella mia mente. Ci pensavo, sai: è proprio necessario che io ti parli delle cose belle che mi succedono e che tu, con lo spirito di un confidente fedele, mi ascolti e partecipi alle mie gioie, soprattutto per il fatto che domani potrei dover rileggere le nostre confidenze e cercare di averne diletto in una giornata uggiosa. Mi riferisco al fatto, diario, che mamma e papà non sono ancora venuti a conoscenza del disastro combinato a scuola con la versione fantasiosa e allegorica su Cleopatra e quindi, poiché ho deciso di rimandare il discorso, sperando che la Bideris ci conceda un’indulgenza e decida di non convocare i nostri genitori, approfitto del momento di entusiasmo dovuto ai postumi della festa di sabato sera per narrarti tutto. Chissà che non dovrò ricordarmi di rileggerti per avere un po’ di distrazione nei giorni in cui sarò reclusa in camera mia, come punizione da parte di mamma e papà per i disastri scolastici.


Sei davvero un caro amico, diario, ad accollarti tutte le mie gioie e i miei dolori. Proprio per questo, pensavo, chiamarti col tuo nome comune è svilirti e darti poca importanza. Che ne diresti se da adesso in poi ti inventassi un nome? Visto che mi ascolti ma sei impassibile, muto e immobile dove ti lascio e che attraverso di me vivi avventure e sventure, come quelle trascorse dall’eroe omerico Ulisse (uh mamma… qui la Bideris mi urlerebbe che nell’Odissea è citato come Odisseo), penso che ti battezzerò col nome di Ulis e d’ora in poi ti chiamerò così.
Ulis spero tanto che tu non te ne abbia a male del fatto che non posso portarti sempre con me perchè ci sono contesti in cui non potrei degnarti di una parola o altri in cui sarebbe addirittura dannoso per la mia privacy e la tua incolumità, nel caso in cui tu capitassi nelle mani di qualche spregiudicato, come quel fanatico di Vittorio che ieri sera alla festa ha distrutto i vestiti di tre o quattro ragazze.
La festa di ieri era una festa a tema: gli dei dell’Olimpo. E’ stata organizzata da parte della scuola e il preside ci ha concesso l’aula magna, tutta allestita a mo di Pantheon da parte dei ragazzi del quinto anno. Io, Mirella, Giorgio e Roberto siamo arrivati là tutti insieme verso le dieci: l’atmosfera era quella classica di una megafesta, con la musica a tutto volume e tanta roba da bere dalla quale, come io e Mirella temevamo, Giorgio ci ha rigorosamente tenute lontano. L’ambiente era particolarissimo, con tanti stand in cui si offriva sangria e c’erano i volontari vestiti da servetti, tante arpe ai bordi della sala e angioletti con frecce appesi al muro. Peccato che non mi abbia colpito nessun’altra freccia, avrei potuto tranquillamente pensare al nuovo ragazzo di “cambio stagione” ma, con Giorgio sempre attaccato, penso che anche il povero Cupido abbia deciso di dedicarsi ad altri singol sfigati.
Il mio costume era bellissimo, mamma aveva passato tutta la settimana prima a cucire la tunica bianca aderente e gli ornamenti dorati per il capo e ciò che ne è venuto fuori è stato un abito super-sexi da Giunone che ha fatto morire d’invidia tutte le ragazze alla festa. Tutte, tranne Mirella: un po’ per amicizia, un po’ perchè lei, col suo vestito azzurro da Venere, si è aggiudicata il titolo di “Dea più bella dell’Olimpo”, anche se non credo sia stato solo merito del personaggio scelto o degli abiti che indossava. Giorgio e Roberto erano, invece, Zeus e Bacco e camminavano insieme l’uno bevendo vino e porgendolo agli altri e l’altro minacciando tutti i presenti e lanciando il rumore dei tuoni, segretamente dal suo Iphone.
Tanti balli, anche di gruppo, trenini e giochini; alla fine la serata si è conclusa con una megasfilata di tutti gli dei e la scelta, da parte della giuria composta da alcuni ragazzi dell’ultimo anno, dei tre costumi più belli: Venere, Diana e Prometeo.
Ora che ripenso alla serata, sono molto felice di non aver passato il classico sabato sera in un pub e devo ammettere che mi sono anche divertita molto, con Bacco alle calcagna che mi incitava a bere e Zeus che mi prometteva che, se lo avessi fatto, mi avrebbe letteralmente fulminata: alla fine ho dovuto approfittare dei momenti in cui Giorgio discuteva con Alberto-Cupido affinchè lanciasse una freccia tra Roberto e Mirella. A questo proposito, le cose sono andate piuttosto maluccio tra i due perchè la freccia è scoccata, si, ma tra Giorgio e Anita, la prima della classe, odiosa, che io e Mirella abbiamo soprannominato “la Madonnina” per via della sua abitudine a scandalizzarsi sempre di tutto e a invocare sempre il Signore come se lo vedesse realmente di fronte a sé. Secondo me non durerà molto tra quei due, Roberto la userà per un po’ per recuperare i suoi debiti scolastici e prima dell’estate le darà il benservito. Anche Giorgio, del resto, credo che farà la stessa fine, perchè è diventato tediosissimo e ossessivo e comincio a credere che le impressioni di Mirella sul suo conto non siano del tutto infondate.
Queste feste a tema sono molto intriganti ma il problema è il tempo necessario all’organizzazione. Arrivati a quest’età nulla rimane spontaneo o naturale e ci vuole un sacco di inventiva per creare delle cose semplici che da piccoli si mettevano su con l’ispirazione del momento.
Mi ricordo quando ero, in uno dei tanti pomeriggi autunnali passati lì, a casa della nonna Caterina e del nonno Michele. Avrò avuto sette o otto anni e la mamma, dovendo andare a comprare dei vestiti per Anna, aveva chiesto a me e a Mirella, che quel pomeriggio era da noi, se per caso non avremmo preferito rimanere dai nonni, piuttosto che andare con lei. Io e Mirella non avevamo per nulla voglia di andare a fare shopping e, sapendo che dai nonni c’erano anche Marco e Simone, i figli della sorella di mio padre, abbiamo deciso di passare il pomeriggio con loro.
A casa dei non

ni non c’erano giocattoli e noi, quel giorno, non ne avevamo portato nessuno con noi. Ci stavamo davvero annoiando perciò, dato che era ancora presto e la temperatura ancora mite, abbiamo chiesto il permesso alla nonna per andare a fare una passeggiata fuori. “Va bene” ha risposto la nonna “ma non vi allontanate molto e tornate prima che faccia buio. E tu, Marco, che sei il più grande, stai attento a tuo fratello, a tua cugina e alla sua amica. Mi raccomando, poi: non combinatene qualcuna delle vostre”. Le parole della nonna risuonarono per noi come un’esortazione a fare il contrario: non solo saremmo rincasati tardissimo, approfittando della libertà che ci era stata concessa, ma anche se ancora non lo sapevamo, avremmo trascorso un pomeriggio indimenticabile e la marachella, non voluta, non sarebbe mancata.
Io, Mirella e Simone, appena fuori dalla porta, dovemmo stare a sentire ciò che Marco aveva brillantemente rielaborato dal discorso della nonna e, facendo leva sul fatto che lui era di due anni più grande di me e Mirella e di tre di Simone, con un fare da grande leader cominciò : “Io sono il più grande, quindi sono il capo. Dovete seguirmi e ascoltarmi, come la nonna ha detto, ma non sono despotico e quindi ascolterò il vostro parere.” E, continuando a parlare, nonostante i nostri sguardi stupiti: “La regola è che non bisogna far tardi, ma questa la si può tranquillamente trascurare… Che ne dite di prendere le biciclette? Poi mettiamo ai voti il posto dove andare: io propongo il lago o il percorso verde oppure, ma è più lontano e non torneremmo in tempo, la campagna dei nonni”.
Tutti molto contenti del fatto che non bisognava rientrare necessariamente in orario, rispondemmo che andava bene spostarsi in bicicletta e che, soprattutto, la meta scelta all’unanimità non era né il lago, troppo vicino e affollato, né il percorso verde, troppo noioso. Restava, dunque, la campagna dei nonni. Ci avviammo, perciò, dopo aver preso le bici dalla cantina, e percorremmo, tutti e quattro insieme, canticchiando per le vie, tutta la periferia della città fino ad arrivare ad una stradina che portava verso un paese vicino. Eravamo felici e spensierati, perchè in campagna avremmo potuto giocare tranquillamente con l’acqua senza essere visti dagli adulti e salire sugli alberi e costruire magari una casetta segreta che avremmo curato col tempo. Dopo circa quarantacinque minuti di pedalata arrivammo in campagna la scena che si presentava ai nostri occhi era quella di grandi teli retati che ricoprivano il terreno. Era stranissimo, non ci era mai capitato di vedere una simile apparecchiatura della campagna, quindi pensammo che le reti, che ora sappiamo servono a raccogliere le olive che cadono dagli alberi, erano servite a qualcuno come tovaglia per un picnic di trenta persone. Indignato, perchè la campagna apparteneva alla nostra famiglia e la gente avrebbe dovuto almeno levare le tovaglie dopo lo spuntino, Marco propose: “Ragazzi, è un bel disastro. Guardate come è tutto apparecchiato. Almeno avessero tolto l’arma del delitto. Suvvia, mettiamoci all’opera: togliamo di mezzo tutti questi strani teli, almeno i nonni ci ringrazieranno del lavoro fatto. Poi potremo giocare”.
E così, tutti e quattro all’opera, ci mettemmo a fare ciò che Marco aveva consigliato ma che tutti avevamo pensato e in men che non si dica le reti erano tutte lontane dai piedi degli ulivi e risposte in un angolo della campagna, vicino alla casetta. Tutti molto soddisfatti, ci guardavamo negli occhi, finchè Simone, il più piccolo del gruppo ma anche il più sveglio, decise che eravamo andati là per giocare e non per lavorare e dato che avevamo completato la nostra opera, adesso dovevamo goderci un po’ l’ambiente. “Perchè non giochiamo agli acchiappafantasmi? Potremmo metterci addosso questi teli retati che son tutti verdi e usare dei bastoni come aspiratori per i fantasmi.” disse Simone. E io, immediatamente: “Sii, ottima idea. E poi facciamo che i fantasmi sono sugli alberi e noi percuotiamo e aspiriamo i fantasmi dagli alberi”. Mirella aggiunse: “Il tutto a suon di musica, con spirito di squadra e urlando ogni volta che se ne trova uno la parola Ghostbusters”. Marco approvò molto soddisfatto.
Reti addosso, bastoni in mano, dopo un pezzo il gioco era inizato e non facevamo altro che correre per la campagna tutti insieme, percuotendo gli alberi per distruggere i fantasmi. Povere olive dei nonni, credo che quell’anno rimasero quasi senza olio perchè noi avevamo tolto le reti e, come se ciò non bastasse, fatto cadere le olive a terra. Ci divertimmo tantissimo, però. Al punto tale che partimmo da lì quando era già quasi buio e i grandi erano già partiti alla nostra ricerca.
Arrivammo a casa della nonna e ci fu destinata una bella ramanzina sul fatto che non avremmo dovuto fare così tardi, non avremmo dovuto allontanarci troppo e invece ci avevano cercato dappertutto e non si sapeva dove eravamo finiti e poi eravamo tutti sporchi. Papà e il nonno erano ancora in giro a cercarci e arrivarono, desolati e preoccupati, dopo un pezzo ma furono contenti quando ci videro sani e salvi a casa. Quando ci chiesero dove avessimo trascorso tutto questo tempo la risposta era sempre: “In un giardino qui vicino, da un nostro amico: non potevate sapere che eravamo là”.
Bene, Ulis, per quella volta il nostro senso di colpa vinse sulla punizione, che non ci fu mai perchè mai seppero che eravamo stati noi a combinare il grande guaio.
Il nonno andò in campagna una settimana dopo e tornò a casa affranto: “Dei teppisti hanno levato le reti. Non le hanno neanche rubate ma ormai il raccolto è perso: le olive sono a terra e sono tutte marce, calpestate e impossibili da raccogliere se non una alla volta” disse alla nonna. Il papà erà lì con loro e arrivato a casa raccontò il fatto alla mamma e a noi. Io compresi in quel momento il danno combinato e il fatto che non erano tovaglie da pic- nic quelle cose bucherellate e mi sentii, per la prima volta, veramente in colpa.
Non confessammo, però. Era troppo grossa. Ci riunimmo tutti e Marco decise che bisognava aiutare a salvare il salvabile, quindi ci offrimmo tutti e quattro ad aiutare in campagna a raccogliere le olive e, alla sorpresa degli adulti, rispondemmo che per il momento non avevamo compiti a scuola e i pomeriggi erano ancora troppo noiosi.
Rosaria Caria

Disegni di Natascia Raffio.

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