I Lali Puna sono un gruppo tedesco fondato a Monaco di Baviera dalla cantante e tastierista
Valerie Trebeljahr (di origini coreane) che coinvolse nel progetto il chitarrista dei Notwist Marcus Acher, il batterista Christian Brandner e il tastierista Florian Zimmer. Dopo un EP Snooze di soli 4 pezzi, l’album di debutto Tridecoder del 1999 li proiettò istantaneamente nell’empireo dell’elettronica indie con il loro suadente e austero synth pop che combinava il bisbiglio esistenzialista della cantante (quasi un parlato), poliritmi languidamente esotici e cadenze rallentate di jazz e twee pop. Il successivo album Scary World Theory (2001) sfondava le porte dell’avanguardia sperimentale sfruttando tecniche di produzione capaci di liofilizzare le radici funk e soul della loro musica per secernere un sound astratto e subliminale.
I due successivi album Faking The Books (2004; con Christian Heiss al posto di Zimmer) e Our Inventions (2010) non riuscirono a ripetere la magia dei primi due risultando essere opere di compromesso fra musica digitale e musica pop anche se l’ultimo vedeva il gruppo muoversi verso dimensioni sonore più eteree e sognanti quasi come una versione sonnambulica dei gruppi shoegaze. Dopo un periodo di relativo inabissamento durato 7 anni, i Lali Puna sono tornati il 13 settembre 2017 con il nuovo album Two Windows. La prima sorpresa è costituita dall’abbandono di Marcus Acher (marito della Trebeljahr), la seconda è costituita dal fatto che adesso la cantante canta veramente piuttosto che recitare aggiungendo un tocco classe maggiore alle sue liriche autobiografiche. Per il resto l’album
sfrutta la rilettura del loro passato musicale più o meno recente (ogni brano è una citazione di un loro vecchio brano) per pervenire ad una geniale riscoperta delle loro radici musicali, ovvero dei gruppi che li hanno influenzati. Un’operazione interessante soprattutto perché i Lali Puna usano i loro consueti saliscendi emotivi e le loro tecniche digitali per lasciare soltanto intravvedere su quali spalle giace la loro arte. Come per incanto dunque l’electro-dance condotta da beats dissonanti e progressione armonica stratificata di Come Out Your House e il più facile synth pop di The Bucket ammettono i loro debiti verso i primi Human League (quelli più sperimentali), le vignette impressioniste di Wear My Heart (tenue e sognante), Bonyfish (classicheggiante e melodrammatica) e Her Daily Black (un anomalo jazz lounge scolpito da beats in controtempo sulla linea pianistica principale) lasciano intuire le delicate partiture di Virginia Astley, il collage di elettronica di Wonderland è costruito con la stessa sapienza dei This Heat, l’elegia elettronica e minimale di Deep Dream, il miglior pezzo dell’intero LP cita contemporaneamente Julia Holter Colleen e i Pascal Pinon, la trance cadenzata della title track e l’architettura chill out di Everything Counts On somma i Lali Puna ai Notwist più recenti (Acher non c’è ma la sua longa manus sì). Alla fine, quelli che sembrano i pezzi più personali, Bird Flyin’ High, la sonata ecclesiastica di Head Up e
l’hip hop cubista di The Frame sono proprio quelli che disvelano il substrato più profondo della musica dei Lali Puna ovvero l’influenza del pop tenue ed elettronico di Jane Siberry e naturalmente il paesaggismo desolato, allucinogeno e futurista dei Kraftwerk. Un nugolo di partecipazioni da Mary Lattimore ai Radioactive Man, da Jimmy Tamborello dei Dntel a Mimicof implementano il risultato finale provvedendo a stringere meglio i bulloni laddove serve. La produzione è (e non poteva essere diversamente) della Morr Music.
di Alfredo Cristallo