I fiori di Mandy sono una band della provincia di Oristano formatisi nel marzo del 2016. La loro line-up è essenziale: Edoardo Mantega (voce e chitarra), Raffaele Mura (batteria e percussioni), Luigi Frau (basso). Prendono il nome da una ragazza australiana, Mandy, incontrata a Dublino durante un viaggio in Irlanda. Al ritorno dall’Irlanda si è formato il primo nucleo del gruppo quando Mantega e Frau hanno cominciato a scrivere le loro composizioni originali. All’arrivo di Mura, si è formato il gruppo che ha cominciato a suonare in giro per la Sardegna proponendo il loro materiale che avevano cominciato a registrare già ad aprile del 2016.
Fu in quei primi concerti che iniziarono a presentarsi dal vivo nella loro tenuta caratteristica, t-shirt e gonna corta a fiori. Il loro primo EP intitolato Radici (3 pezzi per 15 minuti complessivi), totalmente autoprodotto, è uscito infine nell’ottobre del 2016. Nonostante l’esiguità della loro proposta, I Fiori Di Mandy sorprendono subito per i loro riferimenti letterari nelle liriche (un mix fra letteratura sarda e
letteratura americana del Novecento) e per le influenze musicali che caratterizzano i loro brani (un mix fra slo-core e post rock americano degli anni Novanta). Aldilà del loro dichiarato amore per i CSI, Teatro dell’Orrore e i Massimo Volume, la proposta della band punta a realizzare un compromesso fra gli accordi e i battiti narcotici e le devastazioni psichiche tipiche dei Codeine e il decostruzionismo programmato della canzone hardcore tipico degli Slint. Il risultato è una canzone che si agita nel vuoto senza un punto di riferimento e senza un referente ma ancora capaci di celebrare la propria disfatta esistenziale attraverso testi tristissimi e litanie sonore al limite della catalessi. Da una parte sembra quindi di riascoltare la tetraggine di una Nico, dall’altra il loro piglio fatalista (simile all’immobilità nevrotica dei Galaxie 500) viene di tanto in tanto movimentato da crescendo epici o da variazioni tematiche per poi ritornare nel comodo (ma doloroso) guscio del
proprio spleen. Il primo brano Afrodite è paradigmatico della loro arte: voce in deliquio, ritmo testardamente dissonante del basso, atmosfere iperdepresse, sviluppo compositivo
completamente fuori dai generi e totalmente privo di un punto d’equilibrio. Il successivo brano Jourande (per cui è stato realizzato anche un videoclip) è se possibile ancora più snervante nella sua disperazione concettuale finchè non muta nella seconda parte in un jazz brumoso. Sembra che il gruppo abbia deciso di movimentare un po’ il loro lavoro ma il loro terzo brano Radici ripropone la loro filosofia musicale: si usa la struttura di una ballata rock a mò di impalcatura per costruire un’atmosfera densa e fantasiosa ma completamente fuori dagli schemi. La compattezza, il nervosismo controllato, le timbriche ostiche e minacciose e il canto tragico è il vero segno distintivo della musica del trio. Ai quali si chiede ora di continuare così: la loro musica assolutamente fuori dal circuito mainstream è una ventata di novità e una piacevole sorpresa nel panorama musicale italiano.
di Alfredo Cristallo