SPIRIT FEST Spirit Fest

Gli Spirit Fest sono l’ultima next big thing dell’etichetta tedesca Morr Music, già attiva con gruppi tedeschi come Notwist, Lali Puna e Aloa Input, patrocinatrice della rinascita del pop digitale islandese (Soley, Pascal Pinon, Sin Fang) e da qualche tempo attiva nel campo della folktronica e del pop minimale francese (Slow Steve, Orcas) e italiano (Sequoyah Tiger). Il nucleo centrale degli Spirit Fest è formato dal duo giapponese Tenniscoats, due fratelli polistrumentisti Saya e Takeshi Ueno attivi fin dal 2000 e dediti ad un etereo e impalpabile folk ambientale e da Marcus Acher chitarrista e cantante dei Notwist (anche nei Rayon e Tied And Tickled Trio, ed ex chitarrista dei Lali Puna). A loro si uniscono Mat Fowler (dei Jam Money) e Cico Beck ( Aloa Input e Notwist).
L’album è stato registrato nell’inverno del 2016 in Germania a Monaco dove in occasione
dell’Alien Disko Festival (una manifestazione organizzata da Acher) i Tenniscoats, che vi
partecipavano, vennero invitati dal vispo Acher a una serie di sessions nel suo studio casalingo.

L’album venne registrato dopo un’accurata preparazione e programmazione in soli 14 giorni e
viene pubblicato col titolo di Spirit Fest il 10 Novembre 2017. Dal punto di vista tematico il sound degli Spirit Fest nasce dall’incontro fra la tradizione del folk psichedelico (giapponese, americano e britannico), il progressive tedesco e il twee pop britannico. Sostanzialmente il sound degli Spirit Fest ha incorporato elementi provenienti da queste esperienze, finalizzandolo a produrre un album che scorre trasognato e lieve come una piuma che cada da una torre. A questa musica non sono estranei un certo piglio amatoriale e minimale (come nei Beat Happening), il sentimentalismo semi-infantile dell’anorak pop dei Pastels, le jam acide degli Angels In Heavy Syrup e dei Ghost e i ritornelli angelici e dimessi delle Heavenly. La dolcezza di fondo è aumentata dai tintinnii della chitarra e dall’arrangiamento cameristico e digitale di pura marca tedesca; la sovrastruttura fiabesca dell’intera opera è confermata dal saliscendi emotivo della scaletta. Si inizia con la novelty folk pop di Deja Vu nello stile tenue e pastorale di Donovan, per procedere con lo slocore sfocato di Rain Rain e le jam lisergiche e languide di River River e Inklings che lambiscono tanto le caleidoscopie psichedeliche dei Pink Floyd più barocchi quanto la new age.

 

Questa solenne demistificazione delle radici folk e pop della musica rock contemporanea traspone in pratica la cultura degli stati mentali alterati tipica degli anni Sessanta a quella digitale (e altrettanto alterata) del chill out degli hipster degli anni Novanta producendo qualcosa di molto simile a un intimo viaggio nella profondità dell’anima come testimoniato nella fiaba evanescente e sussurrata di Hitori Matsuri. Altrettanto demistificatorie e dunque stranianti sono la filastrocca di Shutiman (una novelty alla They Might Be Giant con tracce di sountrack di film disneyani), le armonie di Nambei sopsese fra Merseybeat, reggae e sonorità orientaleggianti e la sonata per fisarmonica e piano di Take Me Home che somma slocore, glitch pop e atmosfere parigine anni Cinquanta. L’album va infine in gloria col twee pop romantico di To The Moon e la nenia folk psichedelica di Mikan che accoppia i toni favolistici di Kevin Ayers e quelli medievali di Donovan e li cala in un’atmosfera di calma siderale e idilliaca tipica della tradizione del kraut-rock più mistico. L’album è stato
registrato in presa diretta, avvalendosi di un nucleo di collaboratori che di volta in volta
regalavano i loro contributi ad un canovaccio principale nel segno dell’inclusività e della
spontaneità. Spirit Fest è un album che potrebbe essere uscito da una jam degli anni Sessanta e invece è un classico prodotto del folk digitale degli anni Dieci del terzo millennio. I titoli dell’album sono scritti anche in giapponese. Nella versione in vinile è incluso anche il singolo
RiverRiver/Donguri

di Alfredo Cristallo

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