Algo Vuol Dire Qualcosa è il progetto dei due musicisti perugini Filippo Ponderini (chitarre, basso,
batteria, synth) e Marco Mencarelli (voce, synth). Di Filippo Ponderini conosciamo già la sua storia
(vi rimandiamo all’articolo uscito sul blog il 2 giugno 2020 a proposito del suo ultimo album).
Marco Mencarelli è invece l’ex cantante e paroliere del gruppo indie Moleskin che ha all’attivo un
EP omonimo (uscito autoprodotto nel 2000), un LP omonimo (uscito per la Stoutmusic/Audioglobe
nel 2003) e un secondo album Penelope (uscito nel 2008 per la Micropop/Jestrai). Il loro album di
debutto è uscito il 16 marzo 2018 col titolo di Altrove per la Resisto Distribuzione. Non è facile
l’ascolto di questo album: si tratta infatti di una serie di fotografie sfocate che trasmettono
alternativamente tensione, alienazione, attese e rimpianti e compongono i tasselli di un flusso di
coscienza, un percorso che si snoda attraverso schegge di vita vissuta, relazioni interpersonali alla
ricerca di nuove prospettive che restituiscano un significato limpido e incorruttibile dell’esistenza,
alla ricerca di un ideale che si rivela sempre più impalpabile e inafferrabile.
Il loro sound, una sorta di musica da camera dimessa, languida, malinconica e struggente reminiscente tanto della psichedelia più meditativa e trascendente dell’era dell’acid rock californiana quanto
dell’elettronica onirica e magica di Bjork, asseconda perfettamente questa raccolta di quadretti
impressionisti dandole un contenuto emotivo e tenerissimo, romantico e austero.
La sintassi dell’album introduce una teoria dell’arte basata sulla dicotomia infantile/sofisticata che enfatizza
l’aspetto introspettivo a discapito di quello musicale puntellata da lieder per strumenti (perlopiù
chitarra) e voce capaci di ridurre l’intensità emotiva e di raddoppiare il senso di disorientamento
(Emmanuel), che suonano come ballate psichedeliche non perché si riferiscono alla cultura della
droga ma semplicemente perché sono straniate dalla cronica mancanza di struttura come nel
post-rock ambientale di Universi, nella ninnananna letargica multi traccia di Final Fly e in quella
psichedelica di Mentre Olivia Dorme che appartiene agli esperimenti raga rock dei Popol Vuh.
L’impatto delle loro canzoni difficilmente calzano nel predefinito e scivolano altresì nelle crepe
delle categorizzazioni a volte mescolando stili e strumentazione (il rock cosmico che fonde synth
pop e drum’n’bass di Come Gli Occhi, l’estatica ripetizione minimalista di buchi neri pulsanti di
drum’n’bass di Dalle Mani, il trip-hop malinconico con echi di pop reggae alla Police di Rivoluzioni
Solitarie), a volte affondano in litanie angeliche che si tramutano in esercizi di sottigliezza
compositiva (il lamento religioso in slow-motion propulso da accordi jazzati di chitarra acustica di
Sonscurie), a volte disegnano paesaggi astratti e introversi (le sculture sonore sospese fra tensione
e languore di Respiro e Intenti Riflessi, il droning minimalista e melodrammatico di Rido Solo
Quando Posso Farlo) riuscendo infine con la complessa elegia di Muovere Sabbia per chitarra,
synth e piano che evoca vecchie canzoni di strada parigina e si tramuta infine in un rombo sonoro
di tenebre impalpabili a costruire uno slo-core d’avanguardia che ha una qualità più cinematica
che astratta. I brani di Altrove arrangiati in maniera musicale/non-musicale, un collage di suoni
sfocati come in un sogno, colonna sonora di un flusso di coscienza alla Joyce (ma senza sovratoni
tragici) sono un esperienza post-mistica. La produzione è di Paolo Benvegnù..
di Alfredo Cristallo