ILIADE IN BREVE

Gli studenti credono che il cosiddetto “casus belli” della spedizione che Agamennone ed i greci mossero contro Troia, sia stato l’amore e la gelosia per una donna bellissima: Elena figlia di Zeus.

L’antefatto della guerra di Troia e questo: alle sontuose nozze della dea marina Teti con Peleo (futuri genitori del pelide Achille), alle quali presenziarono quasi tutti gli dei dell’Olimpo, non fu invitata la dea della Discordia  Eris. Ma non fu una bella pensata. Coerente con il suo nome e ligia al suo ruolo di fomentatrice di liti, Eris si presentò comunque agli sponsali e, per vendicarsi, gettò sul tavolo nunziale una mela sulla quale aveva inciso le parole: <<ALLA PIU’ BELLA>>. Il famoso “pomo della Discordia” provocò un putiferio.

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E’ risaputo, perfino Biancaneve ne venne a conoscenza a sue spese, che le femmine gareggiano in bellezza ed amano solo la propria, passano il tempo davanti agli specchi per accrescerla fino al punto di interrogarli su quale sia la più bella del reame. Raramente le donne apprezzano la bellezza delle consimili. Non stupisce dunque che la rivalità femminile fosse diffusa anche fra le dee dell’antica Grecia.  La mela di Eris causò perciò un acceso diverbio tra  Era, Afrodite ed Atena (mica tre sciacquette…) che si accapigliarono per il pomo della bellezza. Alla fine esse si rivolsero a Zeus per convincerlo a scegliere la più bella tra loro.

Ma il padre degli dèi, che non era mica un fesso qualunque, si guardò bene dal risolvere una controversia che gli avrebbe procurato almeno due acerrime e potenti nemiche.  La vecchia volpe dell’Olimpo,  preso atto che come capo delle divinità non poteva certo lavarsene pilatescamente le mani, si trasse d’impaccio con una bella furbata: chi meglio poteva decidere quale fosse la più avvenente se non colui che veniva reputato essere il più bel giovane del mondo? E fu così che Paride, mite, inconsapevole e bellissimo principe di Troia, fu messo in mezzo mentre se ne stava tranquillo a pascolar pecore tra i pastori dell’Ellesponto.

Ermes fu incaricato di portare le tre dee davanti al bellissimo giovane troiano. Ognuna delle rivali tentò di corrompere l’ingenuo giovane, promettendogli una splendida ricompensa in cambio della mela. Atena lo avrebbe reso sapiente ed imbattibile in guerra. Era promise ricchezza e poteri immensi.  Ma Paride, che oltre ad esser bello era giovane, puro e forse persino un po’ tonto, scelse con il cuore. Attribuì il pomo ad Afrodite, che gli aveva assicurato l’amore di Elena, la donna più bella della terra. La dea dell’amore aiutò di conseguenza Paride a rapire Elena per mano del prode troiano Ettore ed a condurre a Troia la stupenda fanciulla (o forse fu Paride che decise di andare a troia con la t minuscola).

Si da però il caso che Elena fosse già maritata… Nemmeno il marito di Elena, Menelao, era un illustre sconosciuto, anzi! Era il re di Sparta. Tutti sanno, più o meno, che gli spartani avevano un caratterino mica male, sempre pronti a fare a botte. Secondo il mito greco, tramandatoci dallo storico Plutarco i bambini spartiati (cioè figli di genitori a loro volta entrambi spartani) venivano esaminati dagli anziani e, se non giudicati idonei fisicamente, abbandonati a morire sul monte Taigeto. I sopravvissuti a questo primo terribile vaglio si dedicavano, fin dai sei anni, all’arte della guerra. Lasciate alle femmine, ai mezzosangue ed agli schiavi le mansioni quotidiane, gli spartiati puri si dedicavano, per tutta la vita, esclusivamente agli esercizi militari. A diciannove anni erano ammessi nell’esercito, a 30 potevano costituirsi una famiglia, ma l’addestramento militare continuava fino a sessant’anni. Gli spartiati conducevano, lo dice il nome, una vita “spartana”. Gente da prendere con le molle. Figuriamoci se il prode re di Sparta poteva passare da cornuto davanti ai suoi sudditi! Infatti non prese bene l’affronto e, soprattutto, il ratto della bella moglie. Si rivolse al fratello Agamennone e lo convinse a radunare un incredibile esercito comandato dai maggiori capi dei regni greci e formato da una torva di giovani sudditi non si sa quanto propensi di lasciare le proprie giovani spose per la troia sposa di Menelao e dar fuoco a Troia. Quanto puzzo per una donna! Per soddisfare la brama sessuale di Menelao  i poveri Greci dovettero andare in bianco per una decina d’anni.

Dopo un po’ i greci avrebbero fatto carte false pur di tornare a casa, quantomeno per fare una “sveltina” con le pazienti mogli (ma saranno poi state tutte così pazienti e caste come Penelope?). Gli assedianti ne provarono di ogni, financo inventarsi un cavallone in legno ripieno di greci incazzati nella mente per la guerra, ma forse ancor più al basso ventre per gli esiti della prolungata astinenza.

Gli Achei finsero di partire lasciando solo soletto il cavallone in riva al mare, davanti alle torri di Ilione. Laocoonte, il veggente troiano che di farsi i fatti suoi proprio non era capace, alla vista del ligneo destriero corse verso di esso scagliandogli contro una lancia che ne fece risonare il ventre vuoto, e proferì la celebre frase Timeo Danaos et dona ferentes («Temo i Greci, anche quando portano doni»). Mal gliene incorse. Atena, che parteggiava per i greci, punì Laocoonte mandando Porcete e Caribea, due enormi serpenti marini che uscendo dal mare avvinghiarono i suoi due figli, stritolandoli: il sacerdote cercò di accorrere in loro aiuto ma subì la stessa sorte. E gli stolti troiani si portarono in casa il cavallo con relativo ripieno, fecero festa per la fine della guerra, si ubriacarono e s’addormentarono. Di notte il ripieno del cavallo, del quale faceva parte Ulisse, sbuzzò dal destriero e mise a ferro e fuoco Troia. E’ tutto chiaro no? Non dubito che questo mio scritto sia meno pregiato dell’Iliade, ma dovete convenire che Omero, per quanto bravo, era un po’ prolisso! Mica ci volevano ventiquattro libri per un totale di 15.688 versi in esametri dattilici!

Elena di Troia ebbe poi a dire:

«E molte vite sono morte per me sullo Scamandro,
e io, che pure tanto ho sofferto, sono maledetta,
ritenuta da tutti traditrice di mio marito
e rea d’aver acceso una guerra tremenda per la Grecia»

Il vero motivo della guerra, che “infiniti addusse lutti agli achei”  pare sa dipeso dagli Dei che volevano rimediare all’incremento demografico della Terra conosciuta, sofferente perché oppressa da troppi uomini, per mezzo di una guerra che facesse molte vittime. Io son molto più prosaico, non credo che ad Atene volesse andare a troia, probabilmente dava fastidio la potenza militare e commerciale di Troia.

Comunque sia fatto sta che guerra fu, per dieci anni. Per i successivi tremila fiumane di studenti si sono dovuti sorbire (a causa di una troia?) la guerra di Troia.

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