Il Multiforme: il disco d’esordio di Marco Masoni

IL MULTIFORME
(Paesaggi catartici e operette morali)
Ams Records/Btf
11 brani – 58 minuti
“Il Multiforme è una parola inventata da Omero per l’Odissea, riferita ad Ulisse. Qualche anno fa mi definì così Petra Magoni nei ringraziamenti di un disco dei Musica Nuda che aiutai ad “organizzare” artisticamente. Da sempre faccio tante cose diverse, con entusiasmo passione e spero competenza, faccio il produttore artistico, ho fatto il manager, suono strumenti diversi, compongo, arrangio. Inoltre nel mio nuovo disco ci sono canzoni in vari stili: pop, prog, folk, rock, ballad ecc. Mi sembra un titolo calzante”. E’ un autentico multiforme Marco Masoni: una delle personalità più eclettiche della musica italiana, dal prog-rock dei Germinale alla anomala canzone d’autore del suo debutto da solista.
 Il Multiforme cover
Nato nel 1973, nel 1991 fondatore dei Germinale (una delle più apprezzate formazioni della rinascita progressive anni ’90), Marco Masoni è un autore originale e sui generis: come testimonia il collage di immagini dell’artwork (con i volti di Beatles e Lucio Battisti, Frank Zappa e Bob Dylan, tra gli altri), sono numerosi i riferimenti e le influenze, macinate in una scrittura bifronte, che passa da ballate evocative (“paesaggi catartici”) a pezzi politically uncorrect (“operette morali”) che esprimono una precisa visione del mondo. Negli undici brani la ricercatezza dell’eredità prog e l’uso visionario di suoni olofonici vanno a braccetto con la forma-canzone dalla vena battistiana, tanto spensierata quanto meditativa.
Arrangiato con la complicità di Edoardo Magoni, Il Multiforme annovera numerosi musicisti, tra i quali Maurizio Di Tollo (Maschera di Cera), Jacopo Giusti (Fattore Zeta) e Lorenzo Ughi (Fangoraro). Il Multiforme è disponibile suCD, LP (in edizione superlimitata – 300 copie – con un brano diverso rispetto al CD) e digital download. Dal disco Masoni ha estratto tre singoli/videoclip: Tutti In Colonna, Perdersi e Maggio D’Improvviso, multiformi e sorprendenti come l’autore. E se volete provare a suonare i suoi pezzi, nel booklet trovate gli accordi: il “canzoniere del multiforme”.
Marco Masoni
Info:
Marco Masoni:
Ams/BTF:

MARCO MASONI – BIOGRAFIA MUSICALE

 

 

Marco Masoni è da sempre immerso nella musica. Tuffato fin da piccolo impara a nuotare da solo nel mare dei generi e degli artisti. Nasce a Pisa nel 1973, a 15 anni comincia a strimpellare una chitarra classica. A 17 comincia a suonare insieme a degli amici. Passa dalla chitarra acustica (a volte 12 corde) al basso e viceversa.

 

Nel 1991 fonda i Germinale, gruppo di rock progressivo con il quale inciderà 4 album, contenenti molte sue composizioni: Germinale (Mellow Records, 1994); …e il suo respiro ancora agita le onde… (Mellow Records, 1996); Cielo & Terra (Mellow Records, 2001); Scogli di Sabbia (BTF / Vinyl Magic, 2005). I Germinale sono considerati da critica e pubblico uno dei più originali tra i gruppi della rinascita prog di inizio anni ’90. Uniscono cantautorato colto a ritmiche dispari e forsennate, flauti pastorali a testi mai banali, dissonanze estreme a ballate melodiche; negli anni incidono cover di Genesis, Van Der Graaf Generator, Jethro Tull, King Crimson per album di tributo, e una lunga canzone per un curioso progetto, Kalevala, dedicato ad un’opera finlandese, per l’etichetta francese Musea.

Marco Masoni 2

Nel 2005 il gruppo si congela, ma Marco Masoni non smette di occuparsi di musica, collaborando con grandi nomi del jazz e del pop italiano, come scrittore e critico musicale, produttore artistico, manager di gruppi emergenti, organizzatore di eventi. Per tenersi allenato partecipa negli anni (da solista o con gruppi estemporanei) ad album tributo dedicati a Gentle Giant, Caravan, Gong, Moody Blues, Franco Battiato, Marillion, Anthony Phillips, Pink Floyd, Lucio Battisti.

 

Nel 2012 sente che è giunto il momento di incidere alcune sue canzoni accumulate nel corso degli anni e farne un disco. Ne registra quasi due; il primo è Il Multiforme (paesaggi catartici e operette morali), uscito il 21 Aprile 2014 per AMS Records e disponibile su CD, LP (in edizione superlimitata – 300 copie – con un brano diverso rispetto al CD), download. Dai brani del Long Playing sono stati estratti tre singoli/videoclip: la canzone d’apertura Tutti In Colonna, la ballata acustica Perdersi, e Maggio D’Improvviso.

 

Masoni è accompagnato da molti ex membri dei Germinale, da vecchi e nuovi sodali come Maurizio Di Tollo (Maschera di Cera), Jacopo Giusti (Fattore Zeta), Lorenzo Ughi (Fangoraro). Fondamentale braccio destro è Edoardo Magoni, musicista dal gusto sopraffino, ottimo ingegnere del suono che oltre a suonare le varie tastiere del disco co-arrangia i brani con Masoni. La nuova band che accompagna le esibizioni dal vivo del disco di Masoni, da lui ironicamente battezzata Gli Evolutivi, comprende oltre a Marco (voce, basso, chitarra acustica) un sassofonista, una chitarrista/corista, un tastierista, un batterista.

 

 

: intervista

 

Spesso dietro il titolo di un disco – e nel tuo caso anche il sottotitolo… – si cela un universo culturale e artistico, oltre che il proprio mondo personale. Il Multiforme (paesaggi catartici e operette morali) lascia trapelare diversi significati, ce ne parli?

Il Multiforme è una parola inventata da Omero per l’Odissea, riferita ad Ulisse, come si può leggere nel booklet. Qualche anno fa mi definì così Petra Magoni nei ringraziamenti di un disco dei Musica Nuda che aiutai ad “organizzare” artisticamente, e in effetti mi corrisponde. Da sempre faccio tante cose diverse, con entusiasmo passione e spero competenza, faccio il produttore artistico, ho fatto il manager, suono strumenti diversi, compongo, arrangio. Inoltre nel disco ci sono canzoni in vari stili: pop, prog, folk, rock, ballad ecc. Mi sembra un titolo calzante.

Il sottotitolo invece si riferisce ad una divisione dei testi in due categorie: amo molto le liriche apparentemente senza significato, evocative e descrittive, che qua ho chiamato “paesaggi catartici” sia per la mini-suite in tre parti (due su CD) chiamata Catarsi, che per la sensazione di leggero straniamento che normalmente si ha con questi testi. Ma penso che una canzone a volte debba anche far pensare e avere una morale, e se ogni tanto arriva qualche metaforico pugno nello stomaco non sia un male. Per questo alcuni brani (Tutti in colonna, Perdersi, Il treno temporale, Mi ha detto Bob Dylan) dicono cose un po’ scomode, politically uncorrect, con una visione delle cose e del mondo che non segue il flusso dei mass media o dei social network, che non sento nelle canzoni che girano ma che mi piacerebbe sentir dire. E allora le dico io. Pur non amando molto il Leopardi poeta mi è sempre piaciuta la definizione operetta morale, quindi eccoci qua.

 

Trattandosi del tuo primo album solista, è naturale chiedersi che differenze e che elementi in comune ci sono rispetto a una band progressive di lungo corso come i Germinale.

Beh, non posso certo dire “i Germinale ero io” perché non è affatto così. Pur essendo un membro fondatore, quello che ha dato il nome al gruppo, quello che ha scritto il maggior numero di testi e molte musiche, quello che tante volte ha stimolato con caparbietà gli impegni del gruppo ecc., i Germinale erano una impegnativa e strana bestia a quattro o cinque zampe, mai docile, ma in ogni periodo era davvero più della somma delle parti: senza contare me e Alessandro Toniolo – unici membri costanti – il primo disco non sarebbe mai nato senza il fondamentale apporto compositivo e strumentale di Gabriele Guidi e Saverio Barsali, il secondo senza David Vecchioni, Salvo Lazzara e Andrea Moretti, il terzo senza gli ultimi due e così via. La nostra forza era l’arrangiare e spesso il comporre tutti insieme, faticosamente ma con molta soddisfazione finale. Sono orgoglioso sia di quei quattro dischi usciti tra il 1994 e il 2005 sia del fatto che ne Il Multiforme suonino alcuni membri storici della band: Toniolo, Guidi, Lazzara, Matteo Amoroso.

Però se si ascoltano le “canzoni” contenute nei vari dischi della band non si può non notare una continuità con quanto faccio oggi: soprattutto nell’ultimo periodo tentammo di coniugare canzone colta e ricercatezza compositiva e di arrangiamento, cose che perseguo ancora con convinzione, anche se come solista.

 

A proposito di progressive, genere amato e odiato, naturalmente proiettato verso l’avvenire eppure nostalgico: quanto è stato importante per te aver praticato tale ambiente e quanto è stato importante affrancartene?

Beh, per rispondere devo partire un po’ da lontano. Forse il mio più grande “problema”, musicalmente parlando, è che mi annoio facilmente delle cose che ascolto, e quando da ragazzo ho cominciato a scoprire (anche grazie al fondamentale input di Alessandro Toniolo, di due anni più grande di me e quasi un fratello maggiore musicale), band come Genesis, King Crimson, Gentle Giant, Family, Van Der Graaf Generator e tanti altri beh, mi si è aperto un mondo di possibilità, sia come ascoltatore che come scrittore di canzoni.

Per quanto riguarda “l’ambiente”: problema spinoso. A qualcuno potrebbe sembrare una setta segreta per iniziati, dove è complesso entrare e capire le dinamiche interne. Per me/noi è stato facilissimo entrare, con una cassetta contenente il primo disco dei Germinale mandata al boss della Mellow Records (la più importante etichetta prog italiana negli anni ‘90) nel dicembre 1993, che pubblicò quel primo disco con entusiasmo e soddisfazione. Da allora, e son più di vent’anni, ho conosciuto di persona quasi tutti i discografici italiani e moltissimi musicisti, di alcuni sono sinceramente amico. Però ci sono da sempre stupide invidie sottotraccia, non si comprano i dischi degli altri, non si va ai concerti degli altri e il pubblico è pigrissimo e ultra criticone. Ho sempre trovato tutto questo molto stupido e autolesionista, infatti ho sempre fatto l’opposto, anche solo per sana curiosità. Forse questo mio nuovo disco sarà poco capito dal “pubblico prog”, magari perché contenente troppe canzoni e solo un brano che supera i sei minuti… anche se gli stessi brani probabilmente sembreranno complicati a chi è abituato ad ascoltare il pop da classifica.

È un disco da cantautore evolutivo, quale forse sono sempre stato, e credo che ci siano persone pronte e ricettive per questo tipo di canzoni, non importa se sarà il pubblico prog o altri. Credo fortemente nell’assunto Panelliano: “il pubblico non esiste, il pubblico è una persona alla volta”.

 

Il nemico storico del prog è la canzone, Il Multiforme è un disco di canzoni: qual è il tuo personale approccio a tale forma compositiva?

Su questo non sono molto d’accordo: quello che forse è il brano manifesto del rock progressivo italiano è una canzone quasi pura, Impressioni di Settembre della PFM; il brano più conosciuto del Banco è Non Mi Rompete; gli Area sono ricordati dalla massa per Gioia e Rivoluzione, non per Nervi Scoperti, per fare gli esempi dei gruppi più famosi.

Io compongo nel 90% dei casi partendo dal testo (so che è inusuale), e quando scrivo un testo a volte è un flusso di parole che magari ho covato per mesi o anni prima che prendessero una forma visibile, altre volte scrivo volutamente con una metrica precisa, strofe regolari ecc. Poi vesto le parole con la musica che ritengo più appropriata, lavorando forse più sulla sequenza degli accordi che sulla melodia (e in futuro mi piacerebbe invertire questa tendenza); anche se, a proposito di quantità di accordi, nel primo disco dei Germinale c’era un brano quasi modale, Guardiano dei Cieli, costruito prevalentemente sul Mi minore, e su Il Multiforme c’è Theodore Il Poeta che è un esperimento – secondo me riuscito – di variazioni melodiche su una semplice struttura circolare di tre accordi e i loro rivolti. Insomma, non ho una regola fissa, però quando ho davanti un testo completo riesco quasi a visualizzare mentalmente quella che sarà la struttura secondo me più giusta.

Inoltre mi diverte molto lavorare sulle ritmiche, uso spesso tempi dispari, parole non usuali, strutture inconsuete, e ogni brano ha una storia a sé. Lavorare sulla classica forma-canzone (e ne Il Multiforme ce ne sono un paio così) fatta spesso di intro / due strofe / ritornello / strofa / ritornello / bridge / ritornello / finale nel mio caso diventa quasi sperimentale… a me piace la libertà, le gabbie compositive sono noiosissime.

Inoltre per rendere le canzoni e quindi il disco più interessante e curioso ho inserito, come del resto faccio dai tempi dei Germinale, molti effetti sonori e transizioni tra un brano e l’altro; questa volta ho osato con dei suoni olofonici: il versare un bicchier d’acqua, il suono di un telefono, lo scendere le scale di corsa, un treno in partenza e uno di passaggio e altri suoni che danno l’impressione che quello che si ascolta stia succedendo nella stanza dove si sente il disco. È una tecnica usata per la prima volta in un disco dei Pink Floyd del 1983, e molto affascinante. Sentite il disco in cuffia e rimarrete sbalorditi.

 

Tu sei l’autore e la “mente” del progetto ma non sei da solo, avendo scelto una squadra di musicisti di prim’ordine: che apporto hanno dato ai pezzi?

Il principale collaboratore è Edoardo Magoni, che ha dato una mano fondamentale non solo come fonico ma come eccellente tastierista e co-arrangiatore, ha un gusto eccellente e una “mano” invidiabile. Poi Giulio Collavoli, pianista fondamentale per gli arrangiamenti e la resa finale di molti brani. A volte ho chiesto degli interventi molto precisi ai batteristi con le rullate e gli stop dove volevo io (per esempio in Il Treno Temporale, Mi Ha Detto Bob Dylan, Predoni ecc), altre volte mi sono fidato del gusto dello strumentista, avendo scelto i musicisti in modo scrupoloso per ogni canzone, sapevo che sarei stato soddisfatto.

In altri casi – la via di mezzo – ho dato indicazioni piuttosto generiche sul tipo di suono e di contributo che avrei voluto, ma sempre fidandomi ciecamente del risultato finale, come per esempio la bella chitarra elettrica di Salvo Lazzara su Il Treno Temporale: avevo chiesto una chitarra elettrica tra il melodico e il disturbante, in stile quasi frippiano, che stesse in sottofondo su quasi tutto il brano, ed eccola lì. Sono fortunato ad avere collaborazioni facili e azzeccate, anche se tutte da me meditate.

 

Chi ti segue come “opinionista musicale” sa del tuo amore per Lucio Battisti: se dovessimo andare a caccia degli artisti che influenzano la tua scrittura, il reatino sarebbe da solo o in compagnia?

Lucio Battisti, che cito non solo in copertina ma anche in Maggio D’Improvviso e nella ghost track, era un genio assoluto, il primo a de-costruire le canzoni in Italia in forma originale e innovativa, rimanendo contemporaneamente sperimentale e cantabile. Amo svisceratamente anche i sui ultimi cinque dischi, diamanti che chissà se il pubblico riuscirà ad afferrare. Lui resta in cima, anche per lo stile di scrittura, proprio perché… non ne aveva uno preciso o stabile.

Facendo qualche nome famoso tra le migliaia possibili sono un amante del modo di comporre e di arrangiare di Beatles, Pink Floyd, Genesis, King Crimson, Zappa, Hendrix; dei nomi storici italiani amo De Andrè, Mina, Guccini, CCCP/CSI, Battiato e molti altri. Ovviamente non tutte queste influenze si sentono nelle mie canzoni, ma noi musicanti siamo, inevitabilmente, il frutto di quel che ascoltiamo.

 

La copertina e le foto interne sono un trionfo di vinili d’epoca, sia italiani che stranieri: è un modo per omaggiare i tuoi maestri oppure c’è un messaggio più sottile? E come mai la scelta degli accordi sulle canzoni?

Sono un amante dei dischi in vinile, delle copertine in cui ci si può perdere in cerca di particolari. La cover de Il Multiforme è stato un parto complicato e rischioso, perché non è un disco di cover e non è – e sarebbe ridicolo – un tentativo di paragonarmi a quegli artisti. Non sono tutti i miei “maestri” e non amo neanche in modo viscerale alcuni degli artisti raffigurati. Però sono debitore della musica autentica, sentita, suonata, che dà emozioni, che fa pensare, che fa divertire. Quindi degli artisti “veri” che hanno fatto crescere in molti sensi generazioni di esseri umani.

E le canzoni sono belle se si possono suonare con gli amici, o da soli in cameretta come facevo io da adolescente. Facendo un po’ impazzire il grafico del disco ho pensato di inserire su ogni canzone gli accordi, quindi il booklet del CD è una sorta di “canzoniere del multiforme”, da cui chi suona può capire che non uso le tonalità in modo canonico, che le mie sequenze accordali sono piene di “accidenti”, di alcune dissonanze volute ecc. Però le ho scritte tutte io alla chitarra, che non sono certo un virtuoso, quindi volendo chiunque le può suonare.

 

Tanto per citare qualche brano, in Perdersi si parla di archetipi e mito: la canzone come veicolo di conoscenze superiori?

Sono cristiano, amo molto alcuni filosofi (Platone, Agostino, Kierkegaard su tutti) e spesso nei miei testi si trovano riferimenti biblici o filosofici: sono cose che fanno parte di me, non parlarne sarebbe omissione. “Il mormorio della brezza leggera” di cui parlo è per esempio il modo con cui Dio sceglie di manifestarsi al mio profeta preferito, Elia.

Anche una canzone può stimolare il pensare a queste cose. Perdersi è una canzone-percorso, abbastanza “agostiniana”, in cui in sostanza si dice che la strada dritta e semplice spesso porta a smarrirsi, e per “trovarsi” c’è bisogno di rientrare in se stessi e provare a conoscersi – cosa complicatissima e tortuosa. La natura è stata creata anche per elevarci, per avere il contatto con la terra ma anche perché potessimo entrare in contatto con lo stupore, la sublimità, con energie spirituali che possono arrivare anche dà un albero/cespuglio o da un enorme sasso a punta dove da millenni le persone percepiscono il contatto con qualcosa di superiore, di alto, di ineffabile eppure concreto. Gli archetipi sono antiche rappresentazioni simboliche di pensieri, dei topos millenari, dei concetti o personaggi chiave. Ma non c’è niente di new-age in tutto questo, a mio avviso sono strumenti che sono stati messi a disposizione dell’uomo da Dio, sta a noi decidere se usarli o no. Il mistero ci circonda, molte cose concrete sono invisibili, e non affrontare tutto questo è da irresponsabili.

 

Un altro episodio significativo è Maggio d’improvviso (introdotto da una tua conversazione con Red Ronnie), in cui affermi: “La perfezione misteriosa di tante canzoni tra i ’60 e i ’70 / mi dà tranquillità sui destini di questo mondo”. Pensi che la musica abbia davvero un potere salvifico?

La musica può salvare in molti modi, anche concreti. Conosco personalmente uomini e donne che se non avessero avuto la musica come valvola di sfogo sarebbero finiti in brutti giri. Ma nella canzone mi riferisco a quella che è senza ombra di dubbio l’epoca aurea della musica popular in occidente, ovvero il decennio che indicativamente potremmo collocare tra il 1965 e il 1975. Se l’essere umano in quell’epoca tutto sommato ancora vicinissima è stato capace di concepire e produrre canzoni, cioè oggetti effimeri e non tangibili, di tale bellezza e perfezione allora la speranza in un mondo migliore non può morire, possiamo ancora risollevarci sopra questa cortina di mediocrità, violenza, superficialità, ostentazione, decadenza che è apparentemente senza fine.

 

Tutti in colonna apre il disco ed è anche il primo videoclip: come mai hai scelto questo pezzo?

È un brano con una musica spensierata, leggera, arrangiata volutamente in stile “Lucio Battisti 1977” (anche se c’è chi ci ha sentito Battiato, chi Max Gazzè, chi addirittura Ivan Graziani… è il bello della musica!), ma con un testo molto pesante, a tratti provocatorio, dove in qualche modo mi scaglio contro il relativismo su tutto e dico che invece la verità esiste, che tra l’ignoranza violenta degli USA e la jihad islamica non scelgo nessuno dei due, che disprezzo l’idiozia appariscente di chi va in cerca un’ospitata TV, che non siamo tutti uguali ma tutti diversi. E critico anche me stesso, da sempre cronico accumulatore di concetti, di dischi, di programmi televisivi che spesso accumulano parole senza costrutto, e negli ultimi anni di serie televisive anglosassoni. Insomma, un piccolo manifesto.

 

Hai dichiarato di aver inciso “quasi” due album nel lungo periodo post-Germinale: Il Multiforme ha un gemello nascosto oppure si tratta di due blocchi completamente diversi?

Diciamo che nei nostri anni ‘10 non è più possibile mettere sul mercato dischi che superino i 50 minuti, le persone non sono più abituate ad ascoltare musica con la dovuta attenzione. Però quando ho cominciato a incidere le canzoni, a settembre 2012, ho deciso di registrare quanti più brani possibili, chiedendo uno sforzo ai musicisti ospiti. Per esempio il fenomenale batterista Maurizio Di Tollo (Maschera di Cera, Hostsonaten e ottimo cantautore) ha inciso per me quattro canzoni ma solo due sono ne Il Multiforme (la strumentale Il suicidio di 500 pecore e Theodore il poeta) e le due ancora inedite, Alberi e Scrutatio saranno nel prossimo disco insieme ad altri brani già incisi come Gioia per gli occhi, Cliffs Of Moher, Catarsi parte 3: l’interruttore (che ho voluto inserire nell’edizione in vinile per avere la mini-suite in modo completo) la cover di Madre Pennuta di Battisti-Panella che ho trasformato con molta soddisfazione da brano elettronico a brano acustico e minimale. Insomma, ho circa 30 minuti di canzoni e anche il titolo già pronti per questo futuro long playing. Spero uscirà, con altre canzoni registrate nel frattempo, a metà 2015.

 

Per i prossimi concerti hai messo in piedi la band “Gli Evolutivi”, un nome in puro stile beat italiano: cosa dobbiamo aspettarci dal Multiforme sul palco?

Quando a fine anni ‘90 già si diceva “il prog è morto, inventiamoci un nuovo nome e un nuovo modo” io me ne uscii, su un frequentatissimo newsgroup dell’epoca, con la definizione “musica evolutiva”, che infatti è come presentammo Cielo & Terra, il disco dei Germinale del 2001. Mi è sembrato naturale, ironico e divertente dare questo nome alla band che mi accompagna. I concerti saranno di due tipi: trio acustico o quintetto elettrico, dipenderà dalle situazioni e dai palchi dove saremo chiamati a confrontarci. Oltre alla maggior parte dei brani de Il Multiforme suoneremo sicuramente un paio di brani dei Germinale e alcune cover non scontate, tra le quali posso anticipare che probabilmente ci sarà E’ l’aurora, vecchio e bel brano di Ivano Fossati e Oscar Prudente.

 

E tu, cosa ti aspetti da questo disco?

Di andare oltre alcuni steccati, di incuriosire le persone, e di dare emozioni. Robert Fripp dice che il disco è “una lettera d’amore” e il concerto è un “appuntamento piccante”. Questo è un disco che mi ha dato moltissime belle emozioni in fase di registrazione, spero di trasmettere le stesse cose a chi avrà la voglia di ascoltare Il Multiforme e magari di cercare un mio concerto

 

Marco Masoni FB: www.facebook.com/marcomasonimusica

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