Alcesti, l’amara domanda di Euripide posta da Civica

Su Alcesti di Massimiliano Civica si può aggiungere poco. Tutto è già nello spettacolo, intenso dall’inizio alla fine, intimo ed essenziale.

Alcesti è presentato al pubblico come un evento unico, iniziato il 30 di settembre per finire oggi, domenica 26 ottobre, dopo un mese di repliche avvenute nello stesso luogo in cui è nato: il semiottagono dell’ex carcere, Le murate di Firenze, quasi uno site -specif, se non fosse che l’ispirazione è generata dal testo e non dallo spazio.

«La vita ha un valore non tanto per il tempo che vivi ma per quello fai».

Massimiliano Civica.

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Il testo su cui si basa lo spettacolo, adattato e tradotto dallo stesso Massimiliano Civica, è tratto dall’opera di Euripide, ancora oggi oggetto di discussione fra i critici di teatro, incerti se si tratti di tragedia o dramma satiresco; anche se la tragicità di Alcesti sta tutta nel soggetto, che non svilisce per la presenza dell’ironia sottile, ne per la chiusura a lieto fine, caratteristiche presenti in altre tragedie classiche: si ricordano la Elena dello stesso Euripide, e il Filottete di Sofocle fonte d’ispirazione per l’autore di Alcesti.

La peculiarità della messa in scena è che si tratta di un evento unico, lo spettacolo si consuma sera per sera nell’arco di un mese, di fronte a solo venti spettatori alla volta, come pochi eletti ammessi al funerale della sposa di Admeto, donna innamorata e coraggiosa che affronta la morte al posto del marito incapace di rassegnarsi al suo destino. La storia di Alcesti mette al centro l’uomo, ne estrae i sentimenti di coraggio, sacrificio, amore materno, ma anche paura, amarezza, debolezza ed egoismo. Alcesti è una madre che si preoccupa per il futuro dei suoi figli, parte di un contesto storico dove era peggiore crescere orfani di padre che di madre; è una donna forte capace di far promettere al marito che nessuna la sostituirà dopo la sua morte per non ostacolare l’avvenire dei suoi ragazzi. La tragedia rispecchia l’attualità del suo tempo, e si mantiene costantemente contemporanea. È questa contemporaneità che contraddistingue il testo di Euripide, la quale è valorizzata pienamente con l’essenzialità del teatro di Civica. Attraverso un impianto scenico minimale, quasi abbozzato, e i pochi gesti delle bravissime attrici Daria Deflorian e Monica Piseddu, l’Alcesti è restituita ai nostri giorni senza stravolgimenti eccentrici e forzati.

Mantenendosi «custode delle relazioni fra il testo e gli attori, il teatro e il pubblico», Massimiliano Civica ricostruisce la dimensione di thèatron con uno spettacolo recitato solamente da tre interpreti, più una quarta, aggiunta per necessità nel finale, quattro donne che indossano i panni di personaggi che in antichità erano interpretati solo da attori maschi. Forse una celebrazione all’eroina femminile?Alcesti-DariaDeflorianMonicaPiseddu-phDBurberi2

Il più dello spettacolo è affidato a Daria Deflorian e Monica Piseddu interpreti di Admeto e una serva la prima; di Alcesti, una serva, Eracle e il padre Fèrete, la seconda. Mentre la parte del corifeo è affidata alla cantante attrice Monica Demuro (premio Maria Carta). Nel finale l’apparizione di Silvia Franco che incarna l’Alcesti ritornata dall’ade. Le attrici si attengono a una recitazione minimale al fine di valorizzare il testo, usando gesti lenti ed essenziali, e annullando la recitazione tonale. Per ogni personaggio, le attrici usano dei timbri vocali differenti che si mantengono costanti per ognuno: non traspaiono emozioni che rivelano il dolore o la paura di Alcesti mentre si abbandona alla morte tra le braccia del marito, così il tono di Admeto non cambia nemmeno durante l’alterco con il padre Fèrete, nel quale la Deflorian lascia scappare un urlo d’ira soffocato, e subito riprende l’ intonazione precedente.

I costumi sono studiati per permettere il cambio di personaggio agli occhi del pubblico: una fascia in stile orientale di colore differente che le attrici allacciano sugli abiti marroni, ai quali si aggiungono pochi oggetti caratterizzanti (ad esempio i cappelli dei servi, o la fascia bianca in segno della testa canuta di Fèrete). Il cambio dei costumi introduce delle pause che permettono di metabolizzare la scena precedente, prassi è interrotta solamente dagli ingressi di Eracle, sovrapposti ai canti funebri del coro; gli inserimenti del deus ex machina spezzano l’aura tragica, attraverso una velata ironia. (Interessante la soluzione scenica in cui Eracle sovrappone la canzone triviale L’oselin de la comare al canto straziante del coro). Il dio è, quindi, emblema del lieto fine che vede il ritorno di Alcesti.

Lo spazio semi-ottagonale dell’Ex carcere Le murate, è una struttura che si sviluppa in altezza, dalla quale si possono intravedere i ballatoi con le porte delle celle e il cielo dietro il lucernario del tetto, che sembra contrapporsi alle prigioni. Con il suo passato di pene, il semiottagono si è rivelato la struttura calzante per accogliere l’Alcesti di Civica, spettacolo strutturato come una sorta di rituale, dove l’allestimento spoglio assume un doppio valore semantico: rimanda al teatro greco per i posacenere a forma di colonna classica che segnano l’entrata della casa di Admeto e Alcesti, una skèné simbolica; allo stesso tempo le piccole colonne sono parte per il tutto, segno di una camera ardente, pronta ad accogliere le spoglie dell’eroina mitologica.

La messa in scena di Civica rivalorizza l’istante, l’intimità dello stare insieme, e, ridà al teatro il suo ruolo pedagogico, trasmettendo ai gruppi di spettatori la morale del testo tragico che sembra scomporsi in tante domande, ad esempio: è giusto sacrificarsi per chi si ama? Bisogna rinunciare alla felicità per rispettare chi è morto? Forse, la domanda più urgente che suscita l’Alcesti è: quanto ha senso la vita, se vissuta solo per se stessi?

Di Valentina Solinas

Alcesti

di Euripide

spettacolo di Massimiliano Civica

con Daria Deflorian, Monica Demuru, Monica Piseddu

e con Silvia Franco

costumi Daniela Salernitano

maschere Andrea Cavarra

luci Gianni Staropoli

traduzione e adattamento Massimiliano Civica

foto Duccio Burberi

una produzione Fondazione Pontedera Teatro e Atto Due

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