Inizia oggi il racconto a puntate di Rosaria Caria che ci accompagnerà per un lungo periodo… Il romanzo non autobiografico, ripercorre le vicissitudini della protagonista, a partire dall’infanzia movimentata… Le illustrazioni sono di Natascia Raffio, pittrice ,scultrice e con un passaggio nel mondo del fumetto che intervisteremo a breve…
Ecco il primo Capitolo!
Non avrei mai pensato di iniziare a scrivere un diario, proprio adesso poi!
Mia madre, da piccola, mi proibiva di tenerne uno, perchè diceva che era sempre un dilemma sapere in che mani sarebbe capitato e mi intimoriva con frasi del tipo : “Ricorda sempre che verba volant e scripta manent”. Ad oggi, quindi, per spirito di contraddizione, ho deciso di iniziare ad averne uno, anche perchè sono convinta che lei lo dicesse nel suo stesso interesse, perchè mai avrebbe voluto che qualcuno sapesse con che razza di manie troglodite avesse l’abitudine di trattare me e mia sorella e a quanti maltrattamenti ha sottoposto soprattutto me, che mi sono sempre ribellata, sebbene le mie ribellioni non facessero che alimentare le sue torture psicologiche.
Sono sempre stata una bambina molto curiosa e vivace e questa, purtroppo, è una condanna per una ragazzina nata da genitori non adatti non solo a mettere al mondo una prole ma addirittura incapaci a prendersi cura per due giorni dei due pesci rossi di Raffaele, il nostro vicino di casa.
Adesso, diariuccio mio, ti racconto un po’ di come sono cresciuta…
Come dicevo, non ho mai dormito molto, nel senso metaforico del termine, e ogni tanto, lo devo ammettere, ne combinavo qualcuna. Niente di grave, è chiaro. Potevo sabotare il dolce destinato al parroco con una manciata di sale, ad esempio, oppure ritagliare il filo delle tende di canna di bambù del balcone per farci un piccolo stendino per i vestiti di Olga, la mia bambola. A volte ho anche fatto spaventare la zia Rossella, che è una vecchia rincoglionita, dicendole che suo marito era morto stecchito mentre provava a toccare il sedere della badante… Bene, queste piccole marachelle venivano punite con percosse degne dei più grandi incontri di boxe, minacce di rianimare il battitappeto, portarlo fuori dallo sgabuzzino e usarlo su di me per rispolverare dalla mia mente i tarli dell’idiozia della fanciullezza.
La cosa più terribile, però, quella che mi provocava incubi durante la notte e manie religiose compulsive durante il giorno, era la minaccia di mandarmi all’inferno. Come se gli adulti avessero già un posto prenotato in paradiso! Era la tortura più temibile per una bambina di tre o quattro anni e a sei diventò ancora peggio. Cominciai a sognare il diavolo che diceva “ti sto aspettando” e ad ogni piccola cosa che combinavo, anche quando scampanellavo tirando le trecce alla Mariella, subito dopo correvo a ripassare il Rosario tra le dita e a pregare con ripetute Ave Maria, di cui stentavo ancora a capire il significato. Continuavo a pregare e pregare per minuti e minuti, sperando di potermi redimere con qualche buona azione e di scampare al fuoco eterno che i grandi mi preannunciavano.
Così passavano le mie giornate, tra preghiere e diavolerie che spesso condividevo con mia sorella Anna, più piccola di me di tre anni. I nostri genitori lavoravano tutto il giorno e noi eravamo spesso con i nonni o con la zia Rossella.
La zia Rossella era una sorella della nonna Caterina, che si occupava spesso di noi perchè adorava i bambini, non avendo mai avuto figli. Era mastodontica quanto rimbecillita: alta quasi quanto un armadio, mi stupivo vederla aprire entrambe le ante della porta finestra per uscire in terrazza. Trascorreva il tempo parlando con le sue piante che considerava “le mie bambine”, oppure maledicendo il giorno in cui aveva sposato lo zio Alfredo, eterno donnaiuolo che fino a qualche anno prima, come mi racconta mai cugina Diana, non si faceva scappare l’occasione di ammirare le giovani donzelle, invitandole spesso a casa sua a prendere un amaro. Zia Rossella accoglieva quindi le malcapitate con caffè e dolcetti preparati da lei, e tra un morso e l’altro (riservava solo un biscotto a testa per le giovani ospiti) non faceva altro che screditare il marito per le scarse attitudini sessuali e il fatto di essere stato incapace di renderla mamma. Insomma, zia Rossella era una che parlava con le piante, bestemmiava, lievitava come i suoi biscotti e non passava dalle porte.
Un giorno Anna corse da me piangendo perchè la zia aveva distrutto, passando, la sua cucina giocattolo. Io, che avevo dei rancori nei confronti della zia perchè mi aveva fatto diventare il gatto obeso dopo averlo castrato e rimpinzato ogni giorno con i suoi intingoli, non mi curai del fatto che era anche inciampata nella costruzione e si era fatta male ad un labbro e alla mano; rimasi molto male per mia sorella che si vedeva ormai privata del suo gioco e decisi di fagliela pagare. “Cara zietta vecchia e grassa”, pensai, “ adesso è fatta: me la pagherai caramente e sconterai la pena non solo per aver distrutto il cucinotto ma anche per aver fatto diventare ogni zampa del mio tenero micino la metà delle tue grassissime braccia”. Fu così che pianificai la vendetta.
Lo zio Alfredo era solito uscire ogni mattina verso le nove a comprare il giornale e la sua passeggiata mattutina durava almeno un’ora. La zia in quel frangente gli preparava un’abbondante colazione continentale, con latte, uova, e pane e burro, quasi come se volesse stimolare il marito, anche a quell’età, a essere sempre forte, vigoroso e disponibile a soddisfare ogni suo peccaminoso desiderio. Naturale che lo zio, dopo tutto quel ben di Dio, si appisolava sul divano con il giornale in mano e gli occhiali ancora inforcati sul viso. Era facile, così, essendo io e Anna in due, con uno dei vecchi addormentato, distrarre l’altro coniuge e procedere con il piano.
Quel giorno, Anna era stata bene istruita su come agire. Era una bambina molto più tranquilla di me, ma il fattaccio della cucina non l’aveva proprio mandato giù. Così la piccola iniziò a dire di avere un gran male alle orecchie e la zia, spaventatissima perchè la mamma le aveva detto che a scuola e all’asilo c’erano in giro gli orecchioni, decise di portarla dal medico.Reazione prevedibile da parte di una vecchia imbecille, paranoica e fessa che stava per cadere nella trappola a lei tesa. Dopo avermi raccomandato di stare in casa e leggere qualcosa aspettando che lo zio si svegliasse, le due uscirono e io potei finalmente agire indisturbata.
Le piante della zia si trovavano nella terrazza, alla quale si accedeva dalla cucina. Erano sei, molto alte e tutte verdi, con delle foglie ampie, innervate e piene di linfa. Per la legge del contrappasso, se il mio gatto rischiava di morire d’infarto per l’obesità, le foglie delle sue piante sarebbero state recise e avrebbero avuto bisogno ancora di molta acqua per ricrescere.
Detto, fatto: forbici da cucina e Rosariuccia era al lavoro; mi arrampicai su una sedia, quatta quatta e senza far rumore, tagliai una ad una tutte le foglie delle sei piante. Ebbi anche il tempo, prima che uno si svegliasse e le altre rientrassero, di spargere le foglie sul terrazzo e mettere una ciotola con dell’acqua sopra il tappeto verde costruito. Poi mi misi tranquillamente a leggere aspettando che ritornassero, un po’ eccitata e un po’ timorosa per quello che poteva succedere.
Dopo qualche minuto sentii aprire la porta e la voce della zia che tutta contenta si complimetava con Anna per essere scampata al contagio.
Anna, entrata, mi rivolse uno sguardo interrogatorio, come per dire: “Hai fatto? Ho una paura bestiale”.
Le risposi con un cenno e una carezza sulla testa e la distrassi cominciando a leggerle una storia.
Ed ecco che si sentì l’urlo stridulo della vecchia: “Maledetta!!! Cosa hai fatto alle mie povere bambine? Questa è troppo grossa! Povere bambine mie, come vi ha conciato?”.
Poi, rivolta a me: “Disgraziata, cosa ti è venuto in mente di fare, con le mie piante? Non è Natale, non c’era bisogno di fare il presepe!”.
Fortuna che ho sempre la risposta pronta: “Zia, non è il presepe, è il Paradiso. Per Tom, visto che presto morirà d’infarto a causa tua!.
Inutile dirti, caro diario, la punizione che seguì a quella risposta, dopo che la zia raccontò il fatto alla mamma. Te la racconterò un’altra volta, forse, perchè adesso è tardi e devo prepararmi lo zaino per domani. Anzi, sai che ti dico? Ti infilo dentro lo zaino e domattina vieni con me ad ascoltare le baggianate della prof Bideris.
Buonanotte, diario!
ma l’inizio è buono, vedremo il seguito.
ciao Pino Costantino
P.S. ma è una cirotana o un cirotano che scrive?
Ciao, domani uscirà il secondo capitolo. Non è una cirotana, sebbene l’autrice sia originaria della Calabria. Sara
Ciao Pino…ma cosa ti fa pensare che è un/una cirotano/a chi scrive?
Luigi